Ventri in affitto
La tristezza incarnata scende le scale della stazione centrale di Kiev. Non presta attenzione agli autisti che vanno incontro a chi arriva, ai cambiavalute illegali, agli altezzosi poliziotti, ai disperati che mordono la polvere. Ci sono grida, sorrisi, ingiurie, annunci, un odore di pane raffermo. E lei, tristezza incarnata, cammina con le braccia incrociate, scivolando sul suolo, procedendo quasi con riluttanza, come se ad ogni passo lasciasse un po’ di se stessa, dietro i tacchi che indossa. La tristezza incarnata e’ Tania Berdnik. Ha grandi occhi verdi velati, mani da lavoratrice. Dopo un’ora, dall’altra parte di Kiev, in una clinica con la facciata piu’ grigia che il piu’ grigio dei cieli, sta andando a farsi impiantare un embrione. Vuol diventare una madre portatrice. Ha paura. Non dell’ignoto, ma di cio’ che le e’ famigliare. Dei camici bianchi, la freddezza del metallo, l’odore asettico.
Tania ha 32 anni. Vive nel villaggio di Kamenka, a circa 200 km a sud-est della capitale Kiev. Ha due figlie, Dacha e Liouda, 12 e 14 anni. Il loro padre non c’e’ piu’. Nel 2001 e’ partito per andare a lavorare in Portogallo. Non ha piu’ dato nessun segno di vita. Tania se ne e’ lamentata. Impossibile ottenere qualcosa. Deve riuscire da sola. “Un tempo c’erano delle fabbriche a Kamenka, Si produceva zucchero, pane, automobili. Tutto e’ stato chiuso. Gli unici posti buoni sono presi da persone che fanno parte di un giro, che hanno contatti.” Per venire incontro ai propri bisogni, Tania ha deciso di buttarsi in un commercio estremo, mettendo a disposizione la sua unica risorsa: il proprio corpo. Gia’ per dieci volte ha venduto i propri ovociti per qualche centinaio di euro. Una procedura pesante, sotto anestesia totale, con forti dosi di medicinali, che lei ha ripetuto diverse volte all’anno. E in questo giorno ha deciso di intraprendere un percorso piu’ estremo. Ha deciso, per l’ennesima volta, di restare incinta per un’altra coppia.
La sua prima esperienza era cominciata male, nel 2010. Tania era rimasta incinta subito. Si trattava di una gravidanza extra-uterina, che necessitava di un intervento chirurgico d’urgenza. Problema: chi doveva pagare? “Tutti si sono rimpallati la responsabilita’. I clienti accusavano la clinica. Alla fine, la donna, che era ucraina come me, ha accettato di pagare. Suo marito era francese. Se essa non avesse ceduto, non saprei cosa sarebbe accaduto”. Tania non si e’ scoraggiata dopo questa esperienza. L’anno successivo, si e’ sottoposta nuovamente a questa procedura. La gravidanza e’ andata bene. Tania abbassa la testa, imbarazzata. “Era una bambina”. Lei non ha avuto nessun contatto con i genitori.
Un mercato in crescita
Dopo il nostro primo incontro, alla stazione di Kiev, niente e’ proseguito come previsto per la giovane donna. L’impianto dell’embrione non e’ andato a buon fine. Tania Berdnik ha rifiutato di subire una nuova operazione, furiosa di non essere stata rimborsata delle spese di trasporto. Quattro ore di treno fino alla capitale, un biglietto di 11 euro, non e’ poco. Fortunatamente ha trovato da lavorare al villaggio, in base alla sua formazione. “Lavoro come cuoco. E’ molto duro, faccio giornate di otto ore, dal mattino a mezzanotte, per 1.200 grivni (120 euro) al mese”. Il suo compagno non ha un lavoro. Cosa pensa lui delle sue donazioni di ovociti, delle gravidanze in affitto? “Per lui e’ lo stesso… non so cosa rispondervi”. Silenzio. “C’est la vie”, dice in francese.
Cosi’ e’ l’Ucraina. Un piede nella modernita’, l’altro nella miseria. Secondo Paese al mondo, dopo l’India, per la medicina riproduttiva, un mercato in crescita. Vi si trova il meglio, cliniche private di spicco, super equipaggiate, con eccellenti specialisti, e talvolta peggiori. Degli intermediari nell’ombra, madri portatrici ingannate ed abusate, bimbi che spariscono o, nel caso migliore, che sono al centro di una causa giudiziaria. Tutto e’ possibile, poiche’ tutto e’ sfuocato. La legge, in Ucraina, si piega e si adatta, frutto di una cultura del diritto e di una separazione dei poteri. Ventuno anni dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica, otto anni dopo la “rivoluzione arancione”, il Paese e’ in depressione. Sicuramente si e’ consolidata l’identita’ nazionale. Ma le speranze di democratizzazione sono sbiadite. L’arrivo alla presidenza di Viktor Ianoukovitch nel febbraio del 2010, e’ stata l’ora della rivincita per il Partito delle regioni, filo-russo. La corruzione, la confusione tra oligarchia e potere politico ha toccato alti livelli. Un contesto in cui la sopravvivenza non e’ una parola impropria. Bisogna adattarsi, fare da se’, andare in giro. Trovare modi da bracconiere.
A lungo sballottata da una clinica all’altra per i vari interventi, Tania Berdnik ha avuto la possibilita’, nel momento in cui ha abortito, di capitare con un medico competente e con buone intenzioni.
Vladimir Kotlik dirige la clinica “Mat i detia” (madre e figlio) nella periferia di Kiev. Un piccolo edificio con diversi bar in zona, clinica in cui si infilano le protezioni di plastica sulle scarpe per motivi di igiene. Dietro le finestre ci sono delle hostess col foulard arancione che sorridono. L’ambiente e’ perfetto, il blu-cielo e’ dominante e da’ sicurezza. Nella sala d’attesa, delle giovani donne sfogliano con discrezione delle riviste o sono impegnate con il proprio telefonino. Da un apparecchio tv si parla della Siria, un altro mostra un documentario sulle uova di alligatore. In questa clinica nascono tra i 300 e 400 bimbi ogni anno grazie alla fecondazione artificiale. Trenta dei quali da madri portatrici. A livello nazionale, le stime ufficiali sono modeste. L’Associazione ucraina di medicina riproduttiva parla di 150 casi all’anno, ma sono numeri riferiti alle sole cliniche affiliate all’associazione.
L’Ucraina e’ un punto di riferimento per le coppie occidentali in difficolta’, che rappresentano la meta’ della clientela. I parametri di riferimento sono diversi nei nostri Paesi. Il nucleo famigliare tradizionale e’ in calo, l’omoparentalita’ e’ diventata banale. I progressi della scienza danno una certa risposta alle conseguenze della fatalita’. L’idea di un diritto ad un figlio si sta sviluppando in Occidente, con tanti interrogativi medici, giuridici, politici, filosofici, religiosi. La madre portatrice e’ al centro di questi interrogativi, mentre l’adozione diventa sempre piu’ difficile.
Commercio del corpo
Nel suo ufficio arredato con un grande pannello di foto con bimbi, trofei della propria attivita’ medica, Vladimir Kotlik, spiega i passaggi della procedura. Comincia con un incontro coi genitori. Sono scartati d’ufficio i singoli, i malati di Aids ed epatite, cosi’ come gli omosessuali. “Molti clienti non vogliono compromettere il loro estetismo fisico con una gravidanza. Essi reclamano un bimbo come fosse un gioco da ragazzi, anche con diversi tentativi. Si tratta di una pratica medica ben precisa. Abbiamo avuto una coppia che voleva dei bimbi da tre diverse madri portatrici! Impossibile, di certo”. Inoltre, e’ inammissibile che la madre portatrice abbia un legame genetico con il bimbo che porta. Per cui il bimbo deve avere almeno un legame con uno dei due genitori, con lo sperma del padre o con l’ovocita della madre.
La scelta della madre portatrice, di eta’ fra i 18 e 35 anni, si fa con un intermediario delle agenzie specializzate, che ha una lista di candidate e gestisce gli aspetti giuridici del contratto firmato tra le parti. La candidata deve essere stata gia’ madre. Se essa e’ sposata, e’ obbligatorio il consenso del marito. Durante la gravidanza, la donna puo’ restare nella propria casa, oppure essere alloggiata a Kiev grazie ai clienti. Che pagano una cifra tra 40.000 e 50.000 dollari. 15.000 dei quali per la madre portatrice, piu’ le spese quotidiane. La decisione delle caratteristiche fisiche sono valutate nella scelta sul catalogo, ma non sono le sole, ci spiega Liodmila Smagina, direttrice del Medical and Pharmaceutical Law Center, una delle agenzie piu’ quotate di Kiev. “Le donne devono trovarsi in condizioni sociali favorevoli, ed avere intorno persone e situazioni favorevoli. Le persone di origine troppo povera hanno un livello intellettuale inferiore, e vivono in un ambiente in cui potrebbe esserci dell’alcool o anche della droga. Anche avere grandi debiti e’ considerato motivo di stress non positivo”.
Lioudmila Smagina e’ consapevole delle possibili derive in queste gravidanze parametrate, a comando: “Non siamo andati ben oltre la maggior parte dei Paesi europei. I valori morali hanno seguito molto i progressi della medicina”. Il dottor Vladimir Kotlik si ricorda di un caso estremo, nella citta’ di Kharkov dove lui ha lavorato: quello di una donna diventata madre portatrice per la propria figlia che non poteva avere bambini.
Il 16 ottobre, due settimane prima delle elezioni legislative, i deputati della Rada hanno approvato un progetto di legge sulla fecondazione medicalmente assistita. Dopo lunghi anni di dibattiti e polemiche, erano riusciti a trovare un punto fermo. Il testo prevedeva il ricorso alla fecondazione assistita fissando una eta’ massima (51 anni), e prevedendo sanzioni penali severe contro le cliniche che avrebbero violato la legge. Ma il 2 novembre, nello stupore generale, il presidente Ianoukovitch ha posto il proprio veto sul testo di legge. Il capo di Stato ha valutato che certi statuti e diritti non erano ben determinati, come quelli della madre portatrice. Risultato: in attesa di una nuova stesura, l’Ucraina dispone di un codice di famiglia impreciso, che autorizza cio’ che va oltre i limiti.
La piu’ impegnata promotrice del testo di legge e’ Ekaterina Loukianova, una delle rare deputate che si interessa di questi soggetti della societa’. Questa partigiana di una visione conservatrice della famiglia, contraria al matrimonio omosessuale, ha la sua formula preferita: “Un bimbo non e’ una valigia o un computer. I suoi diritti devono essere prioritari”. La deputata ha cominciato a lavorare sul problema delle madri portatrici dopo che e’ scoppiato uno scandalo di risonanza internazionale. Si trattava di una coppia francese, Patrice e Aurelia L. A marzo del 2011, il padre aveva tentato di far uscire clandestinamente dall’Ucraina le sue gemelle nate da una madre portatrice, nascoste nella propria automobile. Fu arrestato alla frontiera con l’Ungheria. Le bimbe erano apolidi. La coppia e’ riuscita a far loro ottenere la nazionalita’ ucraina, piu’ un visto Schengen. Dopo alcuni mesi di esilio involontario, sono potuti ritornare in Francia. “Io capisco che siamo nel XXI secolo, ma questa fuga in avanti ci ha fatto dimenticare le nostre basi morali -dice la deputata Loukianova. Nell’Unione Europea la madre portatrice non e’ un’attivita’ commerciale. L’Ucraina, invece, ha la tendenza a trasformare la donna in un prodotto. Questo mercato non e’ molto lontano da quello della prostituzione. Si tratta pur sempre di commercio del corpo”.
Il problema, secondo la deputata, e’ che il ministero della Sanita’ non concede una licenza specifica per tecnologie riproduttive. Solo una licenza per le pratiche ginecologiche. Una clinica puo’ quindi improvvisarsi come specialista di un settore particolarmente sensibile. Fortunatamente, le agenzie e le cliniche scrupolose anticipano la futura legge. Esse gia’ rifiutano di concludere un contratto con chi proviene da un Paese che proibisce il ricorso alle madri portatrici. E’ il caso della Francia, della Germania e dell’Italia. “Sono gia’ tre o quattro anni che si accettano solo le coppie dei Paesi scandinavi, dell’Inghilterra, del Canada, degli Usa e di Israele”, dice Valeri Zoukine, direttrice della clinica Nadia a Kiev e specialista di un certo rilievo della medicina riproduttiva. “Sono venuta a conoscenza del caso di una francese il cui bimbo e’ stato messo in un orfanotrofio da un anno. E’ una tragedia.”.
Rompicapo giuridico
Kiev e Donetsk sono le citta’ piu’ attive in materia di medicina riproduttiva. Esse hanno un grande aeroporto, studi organizzati di avvocati, varie infrastrutture mediche. In provincia la realta’ e’ differente, spesso piu’ pallida. Irina Morozova ha avuto un buon momento grazie alla sua piccola celebrita’. Ma il suo caso e’ diventato emblematico di cio’ che circonda il mondo delle madri portatrici. L’abbiamo incontrata una prima volta a maggio, a Kiev, con una pila di documenti sotto il braccio, che andava a trovare il suo ennesimo avvocato. L’abbiamo voluta reincontrare a casa sua, lontano dalla capitale, per meglio inquadrare il decoro del suo dramma famigliare. Agli inizi di dicembre, a 300 km da Kiev. Irina vive al quinto piano di un comune palazzo nella piccola citta’ di Bar. Vinnitsza, il capoluogo regionale, e’ a 70 km. La strada e’ piena di buche e di ghiaccio, attorniata da un paesaggio tutto bianco. Quando arriviamo, quattro uomini parlano tra di loro al piano terra su una questione che li appassiona. L’elettricita’ e’ stata tagliata ed occorre individuare come porvi rimedio. Nell’appartamento della famiglia, di una sola stanza, la temperatura non ha ancora avuto il tempo di calare e il frigo non si e’ ancora scongelato.
La nonna ha tenuto a bada i gemelli per due giorni, mentre Irina e suo marito, Dmitro, avevano da fare tra Kiev e Vinnitsa. I bimbi, di 2 anni, non parlavano ancora ma erano molto attivi, cadendo in continuazione per terra. Il computer non ha piu’ segreti per loro. Dei peluches sono appoggiati sull’asta delle tende. Irina dorme poco e si da’ da fare piu’ di quanto mangia. L’angoscia le lacera il petto, a qualche giorno da una decisione giudiziaria che sconvolgerebbe la sua vita. Essa di dimena tra i suoi deboli mezzi e il proprio istinto di sopravvivenza, contro degli avversari invisibili. I genitori biologici italiani, cosi’ lontani. Degli avvocati, delle ombre, delle cospirazioni immaginarie. Irina non e’ una madre da quattro soldi, una madre facilona, una madre indegna. E’ una madre. Coi suoi momenti di impotenza, di gioia e di fatica, portando ai suoi piccoli attenzioni come fosse una lupa. Dmitro, invece, e’ un ragazzone coi modi un po’ sinistri, vestito con pantaloni di lattice. Un giorno, prima di andare a lavorare, ha incollato sul muro del bagno una lunga poesia d’amore ritagliata da un giornale.
La coppia si e’ sposata nel 2008. I loro guadagni sono modesti. Irina ha lavorato una volta come donna di servizio, lui come vigilante. Agli inizi del 2010, lei legge un annuncio di impiego indirizzato a donne, con la prospettiva di una notevole remunerazione. Un intermediario, Serguei K., la invita a prendere un caffe’. Nei tavoli vicini, altre candidate attendono il proprio turno. L’uomo mostra a Irina la brochure di una clinica a Kiev: “Cos’e’ questo lavoro?”
– Tu puoi essere donatrice o madre portatrice. Non avere paura, e’ tutto legale, e si guadagna molto. Potrai acquistarti tutto cio’ che vuoi”.
Irina pensa a sua figlia di 13 anni. “Mi chiedo come ho potuto coinvolgermi”, sospira. Il 27 aprile 2010, dopo una serie di esami, le vengono impiantanti quattro embrioni, ben oltre i limiti di legge. La gravidanza e’ destinata ad una coppia di italiani. Un mese dopo. Dmitro scopre cio’ che ha fatto la sua donna quando la stessa finisce in ospedale per una emorragia. “Quando ha visto Serguei, l’intermediario, ha creduto che fosse il mio amante -dice lei. E’ stata una scena allucinante”.
Il 9 novembre nascono, prematuri, i gemelli. Albert e Artur sono messi male, sono morenti e pesano circa un chilo e mezzo. Li ha partoriti a Vinnitsa, dove le equipe mediche sono migliori. Dmitro fa avanti e indietro, sulla strada ghiacciata, per approvvigionare del latte materno. “Sono rimasta due mesi all’ospedale -ricorda Irina. Ho salvato questi bimbi, poi li ho allevati, senza mai aver firmato un contratto con gli italiani. Serguei e’ venuto a trovarmi all’ospedale, tutto bene. Io ho rifiutato di firmare il documento che lui mi ha sottoposto. Allora ho deciso di registrare i bimbi sotto il mio nome”.
Normalmente, i genitori biologici devono dichiarare i bambini entro i tre giorni successivi alla nascita. Ma la coppia italiana non era’ li’. Al loro arrivo, Irina aveva gia’ deciso di tenersi i gemelli. D’altro campo lei non aveva toccato per niente il denaro promessole. “La coppia italiana e’ la prima vittima di questo affare”, dice loro il primo avvocato, Vadim Parkhomenko, poi viene la madre portatrice. Anch’essa ha torto. Non c’e’ stato tra loro un accordo professionale, formalizzato con il denaro versato e i bimbi consegnati. I soldi sono rimasti nelle mani degli intermediari”.
Gli italiani hanno fatto causa per ottenere i bimbi. L’affare e’ di grande complessita’ per la giustizia ucraina. In prima istanza, a marzo, il tribunale di Bar ha dato loro ragione. Il 10 dicembre, la corte d’appello di Vinnitsa, confermando il giudizio, ha preso una decisione carica di conseguenze. Essa ha chiesto l’annullamento del certificato di nascita. Albert e Artur, che hanno gia’ due anni, devono essere dati alla coppia straniera, anche se proveniente da un Paese in cui non e’ legale il ricorso alle madri portatrici. Il giudice che ha preso la decisione, Lidia Soroka, ci confida che il dossier e’ “straordinariamente difficile”. Essa riconosce che tutte le parti sono vittime. “E’ ancora piu’ duro per gli italiani, i genitori biologici, che avrebbero voluto vedere i primi passi dei bimbi -dice il giudice. Gli intermediari hanno ingannato le due parti. Irina Morozova avrebbe dovuto ricevere i soldi, e loro i due bimbi”. Irina, per sua parte, grida al complotto. E’ convinta che gli italiani abbiano corrotto il giudice. Lei sa che i ricorsi non sono esauriti. La Corte Suprema ucraina e poi la Corte Europea dei diritti dell’Uomo e’ bene che si preparino a questo difficile rompicapo. La storia di Irina Morozova e’ un disastro per i bimbi.
Donne contente
Ma il ricorso alle madri portatrici, in Ucraina, non e’ necessariamente fonte di tensioni o di drammi. Ci sono anche donne contente. Che non sono sempre motivate dai soldi. Emerge il caso di Ioulia Sidorenko. Questa carina abitante di Kiev, dai capelli corti e molto frenetica, lavora come capo delle vendite in un negozio di mobili importati dall’Indonesia. Ma non a tempo pieno, poiche’ usa il suo tempo anche per i due figli, Artiom di 7 anni e sua sorella Lisa di 10 anni. La famiglia occupa un confortevole trilocale in un palazzo della periferia di Kiev. Ioulia e’ volubile. Anche un po’ civetta e con la manicure impeccabile. E poi, come non notarlo in un Paese dove niente e’ facile per chi vi abita? Ioulia sembra naturalmente dotata per il buonumore. Una forma di innocenza la protegge dai tormenti del mondo.
Lei ha incontrato Dmitri quando era ancora al liceo. Entrambi giuristi di formazione, hanno lavorato per diversi anni al Comune di Kiev. Ma la giovane donna voleva dedicare piu’ tempo alla sua famiglia. “Ho letto spesso alcune interviste di persone importanti, che parlavano dei propri sogni artistici. Dopo i 16 anni, il mio sogno e’ sempre stato quello di diventare madre”. La madre di Ioulia e’ morta quando lei aveva 1 anno. Dopo aver lasciato il Comune di Kiev, la giovane donna apre un negozio di giocattoli per bambini, un colpo di cuore. Molto presto ne trae vantaggi economici e si assicura un reddito confortevole, ma il lavoro si mostra ancora una volta troppo coinvolgente. Cede il negozio ad una amica. Nella primavera del 2012, quando era senza lavoro e felice, scopre su Internet alcune storie di madri portatrici americane che si sentono in fiore. “A 30 anni si riflette naturalmente sul senso della vita. Alcuni si dedicano all’aiuto umanitario. Anche io ho pensato a questo”. Ci mostra alcune fotografie dei suoi bambini in una festa in cui erano travestiti. Poi in teatro, in piscina, in vacanza. Tutto per loro.
Ioulia ha preso la sua decisione rapidamente, poi ha informato suo marito. “Gli uomini non comprendono questi problemi, essi non possono mettersi in piazza”. Quindi compila un formulario sul sito di una clinica. Le sue analisi sono perfette, il suo profilo seducente. Al ritorno dalle vacanze famigliari ad Odessa, lo scorso agosto, viene contattata. La coppia di clienti e’ ricca e famosa: lei una bella ucraina; lui un rinomato imprenditore straniero. Vorremmo dirvi di piu’, anche perche’ la vicenda e’ coinvolgente, ma il segreto medico ha un senso. La coppia verifica scrupolosamente la qualita’ sanitaria della vita di Ioulia, i suoi precedenti. Le due parti giungono facilmente ad un accordo. Incinta di 11 settimane quando la incontriamo, agli inizi di dicembre, la giovane donna non e’ in ansia: “Ho fatto tutto con coscienza. E capisco che, geneticamente, non e’ mio figlio. Voglio mettere i soldi da parte sia per acquistare un’automobile che per gli studi dei miei figli”.
(articolo di Piotr Smolar, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 06/01/2013)