Usa: i malati dei Paesi del Nord del mondo
Gli Usa sono colpiti da una malattia “sistemica”, e questo dovrebbe stimolare gli altri Paesi sviluppati alla vigilanza. Questa, in sostanza, la conclusione di due studi pubblicati, lo scorso 15 agosto, nella rivista “British Medical Journal”. Il primo, guidato da Steven Woolf (Virginia Commonwealth University), rileva una crescita inquietante di mortalità presso gli adulti americani di età media nel corso degli ultimi 17 anni e in particolare dal 2012, dove la speranza di vita americana ha cominciato a stagnare, prima di scendere a partire dal 2015.
In questo anno, indica il secondo studio, condotto da Jessica Ho (University of Southern California) e Arun Hendi (University of Princeton), una dozzina di Paesi ricchi ha conosciuto simultaneamente un declino significativo della propria speranza di vita in rapporto al 2014. Brusca e inedita per il suo carattere diffuso, questa caduta è comunque stata generalmente compensata da una ripresa nell’anno successivo, con l’eccezione del Regno Unito e degli Usa,
Oltre-Atlantico, questo dato della speranza di vita registrato nel 2015, si è anche confermato nel 2016. L’indice indicava allora 78,6 anni, cioé 0,3 anni in meno rispetto al 2014. Alcuni dati preliminari resi pubblici a maggio dall’agenzia Associated Press, indicavano che l’anno 2017 avrebbe dovuto registrare una nuova caduta di longevità. Questo sarebbe quindi il terzo anno di fila del declino -situazione senza precedenti da diversi decenni.
Per capire, Steven Woolf e i suoi coautori hanno comparato le caratteristiche della mortalità della popolazione americana tra i 25 e i 64 anni, rispetto ad origine etnica, tra il 1999 e il 2016. “Tra il 1999 e il 2016, i tassi di mortalità di ogni tipo di causa non aumentavano solo tra i bianchi, ma anche presso gli amerindi”, scrivono gli autori. Gli altri tre gruppi etnici studiati (neri, ispanici e asiatici) hanno invece conosciuto un calo di mortalità, che si è interrotto tra il 2009 e il 2011, prima di riprendere a crescere.
Prima constatazione: le overdose sono la prima causa di crescita della mortalità, in tutti i gruppi. I tassi di mortalità dovuti all’uso di droghe o di farmaci, aumentano anche oltre il 410% presso gli amerindi, del 150% presso i neri, dell’80% presso gli ispanici…
Sono le stimmate della crisi degli oppioidi che colpiscono gli Usa dopo l’immissione sul mercato, a metà degli anni 1990, di diversi analgesici derivati dalla morfina. Questi hanno contribuito alla dipendenza di oltre 2 milioni di americani, con decine di migliaia di morti ogni anno. Questa constatazione non è nuova.
Forti disuguaglianze sociali
Ma, sottolinea Steven Woolf e i suoi colleghi, non è l’unica causa. “I tassi di mortalità a metà vita, sono anche aumentati per una grande quantità di malattie che riguardano molteplici funzioni e organi del corpo umano”. Presso gli amerindi, i tassi mortalità tra 25 e 64 anni sono anche aumentati per dodici diverse cause, tra cui le malattie dovute all’ipertensione (+270%), il cancro al fegato (+115%), le epatiti virali (+112%), le malattie del sistema nervoso centrale (+100%)… Suicidi, malattie epatiche legate o meno all’alcool, tumori cerebrali, malattie respiratorie o metaboliche, o anche obesità, fanno salire la mortalità in diversi gruppi.
I tassi di mortalità aumentano nell’insieme della popolazione americana per una dozzina di malattie. Questo indica, per gli autori, che il degrado della salute in Usa è dovuto a “cause profonde e sistemiche”. “Supponiamo che la crescente diseguaglianza dei redditi, i deficit dell’educazione, le rotture sociali e lo stress, possano giocare un ruolo importante, spiega Woolf. Altri fattori potrebbero includere la mancanza di accesso universale alle cure, il possesso di armi da fuoco da parte della popolazione e gli elevati tassi di obesità”.
L’epidemiologo Philip Landrigan (Boston College), che non ha partecipato allo studio, rileva che si tratta di lavori “molto validi”. “I dati presentati non permettono di distinguere gli aspetti profondi di questo degrado dello stato di salute degli americani. Ma è chiaro che quando si creano delle forti diseguaglianze sociali, si crea una categoria della popolazione per vedere la propria speranza di vita ridursi. Bisogna quindi evidenziare ciò che mostrano numerosi lavori: i più poveri sono anche quelli che sono esposti a quasi tutti gli inquinamenti ambientali come il piombo, i pesticidi, l’inquinamento dell’aria… Questo fondamentale fattore è frequentemente ignorato”.
Inoltre, questo deterioramento dello stato di salute degli americani si manifesta nel momento in cui il tabagismo è oltre-Atlantico ad un livello storicamente basso (circa 15,5% della popolazione adulta fumava nel 2016) e che il consumo medio di alcool per abitante è solo marginalmente aumentato nel periodo studiato (da 8,25 litri per persona di più di 14 anni nel 1999, a 8.8 litri nel 2015).
Una perdita “senza precedenti”
Il secondo studio sottolinea per suo conto la profonda singolarità degli Usa nell’ambito di un ventaglio di 18 Paesi membri dell’OCSE. I due scienziati hanno analizzato le cause dell’eccesso di mortalità che ha condotto, tra il 2014 e il 2015, ad un calo significativo della speranza di vita in 12 di questi Paesi -in media 0,21 anni persi per le donne e 0,18 per gli uomini.
Secondo i loro lavori, le grandi cause di decessi sono state le malattie respiratorie, cardiovascolari, del sistema nervoso centrale e le turbe psichiatriche, e tutte sono maggiormente concentrate tra le persone con più di 65 anni. La grave epidemia di influenza sembra avere un fattore determinante. In Usa, al contrario, la perdita di speranza di vita “si è concentrata sulla popolazione di età meno avanzata”, inferiore a 65 anni. E l’influenza ha poco a che fare.
“Degli aumenti giganteschi di speranza di vita sono stati la tendenza dominante nei Paesi sviluppati ad alto reddito durante il XX e il XXI secolo”, notano gli autori. Tuttavia, questa perdita importante registrata simultaneamente in dodici Paesi ricchi è “senza precedenti”.
“Questo picco di mortalità è spesso stato attribuito agli effetti diretti ed indiretti di una grave epidemia di influenza, in particolare per le persone anziane, scrive Domantas Jasilionis (Istituto Max-Planck per la ricerca demografica), in un editoriale pubblicato dal British Medical Journal. Colpisce molto constatare che i sistemi di sanità dei Paesi ricchi più avanzati sono stati incapaci di gestire questa sfida imprevista, con la conseguenza della prima riduzione di longevità in diversi decenni. Questo potrebbe essere il segnale di problemi più profondi”.
Per Jay Olshansky (Università dell’Illinois), che nel 2005 aveva predetto nel New England Journal of Medicina, una inversione di tendenza in Usa, questo indica anche che “il periodo in cui si poteva guadagnare molta speranza di vita si è capovolta”. Una posizione sempre dibattuta.
(articolo di Stéphane Foucart, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 16/08/2018)