L’Unione europea della salute

  La pandemia da Coronavirus (Sars-Cov-2) è in corso, sebbene i vaccini abbiano contribuito a proteggere e limitare le possibilità di infezioni, di ricoveri e di decessi. 

Da questa esperienza si arriva a conclusioni che riguardano l’oggi e il domani: ogni Stato non può fare da sé. Occorre maggiore integrazione tra i sistemi sanitari nazionali dei Paesi membri della Ue: i virus, questo o altri, non conoscono frontiere e l’azione svolta dalla Commissione europea per l’acquisto collettivo di vaccini ha avuto successo: ogni Stato ha ricevuto le dosi in relazione alla popolazione. Non era dato per scontato, come qualcuno presume, né sono stati fatti errori negli acquisti, come molti erroneamente ritenevano. Il tempo ha portato alla verità e alla ragione delle procedure messe in atto affinchè tutti potessero usufruire dei vaccini convalidati dall’Agenzia europea del farmaco (Ema). Per inciso, siamo ancora in attesa della certificazione del vaccino russo Sputnik, che politici nostrani sponsorizzavano, o di quelli cinesi, scelti dal premier ungherese Orban.

Ora si tratta di fare un passo avanti e puntare alla integrazione dei sistemi sanitari europei. Questo comporta una cessione di sovranità in campo sanitario per offrire standard omogenei su tutto il territorio dell’Ue. Ci saranno resistenze – ogni Stato è geloso delle proprie prerogative –  ma è l’unica via per garantire livelli essenziali di assistenza a tutti i cittadini europei. 
 

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