Svizzera. I politici e la paura della clonazione

Non fa rumore, non incide direttamente sul portafoglio degli elettori, non produce intasamento alle frontiere. Non da’ neanche fastidio e si puo’ non parlarne. Che cos’e’? La biopolitica.
Benche’ abbia una sua cittadinanza, non e’ un tema che i politici svizzeri affrontano volentieri, figurarsi se si trova qualcuno disposto a farsene paladino. L’argomento scotta, visto che comprende anche la clonazione terapeutica. Cosi’, come il topo di fronte alla serpe, i politici preferiscono aspettare piuttosto che attaccare in anticipo.
Lo scorso dicembre, il Parlamento licenzio’ la legge sulle cellule staminali in modo spedito e celere. Ma oggi la discussione sui binari utili a far scorrere la biopolitica sembra accantonata, e tutti guardano rilassati all’8 aprile quando saranno depositate le firme per il referendum. Se i promotori riusciranno, come probabile, a raccogliere le firme necessarie, il voto ci sara’ in autunno. Si tratta di un percorso democratico e non c’e’ nulla da eccepire. Pero’ non si puo’ nemmeno ignorare che nel mondo la biomedicina avanza senza curarsi di remore nazionali. Dopo il recente esperimento sud-coreano, il dibattito e’ ripreso, e per ora l’unico punto unificante sembra essere il rifiuto verso la clonazione riproduttiva, mentre molti s’impegnano per tenere aperta la porta su quella terapeutica.
La Costituzione svizzera le proibisce tutt’e due; molti Paesi asiatici, invece, puntano fortissimamente sulla biomedicina. Singapore, che autorizza la clonazione terapeutica, vuole investire, nei prossimi cinque anni, 3 miliardi di dollari Usa in questo tipo di esperimenti. Presto aprira’ “Biopolis”, un centro di biomedicina esteso su 200 ettari e costato 286 milioni di usd. Accanto a Singapore e Corea del Sud, anche Thailandia e Cina lottano per attirare i migliori scienziati e le piu’ convinte societa’ investitrici. Persino la Germania, che pure opera entro una normativa assai rigida, sta richiamando in patria quei cervelli che erano dati per persi: Hans Schoeler, che ha lavorato alla University of Pennsylvania ed e’ divenuto famoso per i suoi studi sulle cellule staminali, e’ tornato, e dal primo aprile dirige l’Istituto Max-Planck di medicina molecolare a Muenster.
In Svizzera, istituti simili -il Politecnico di Zurigo o il “Biocentro” dell’Universita’ di Basilea- godono ancora di prestigio. E il mondo politico ogni tanto se ne fa vanto. Pero’ ricorda i successi scientifici passati, ed evita di menzionare eventuali progetti futuri. In questo momento manca uno sguardo positivo verso l’innovazione, non c’e’ voglia di scoprire il nuovo, si vedono piu’ i rischi che le opportunita’. Se un ricercatore come il basilese Alois Gratwohl parla della possibilita’ della clonazione terapeutica, non ottiene udienza politica. Al contrario, gli si rimprovera di parlare di argomenti prematuri. Invece dice cose che meritano ascolto: egli sostiene che la Svizzera e’ un Paese adatto per portare avanti programmi di ricerca ambiziosi, ma anche responsabili, in campo biomedico. Di sicuro non ci si potra’ sottrarre a lungo dal tema clonazione, pena l’esclusione da questo importante settore. Anche la ricerca sulle staminali dovra’ ricevere impulso e appoggio politico quando la legge entrera’ in vigore. Serve un respiro lungo. E’ trascorso appena un anno da quando i biologi di Ginevra che lavorano con le cellule staminali embrionali sono stati autorizzati a coltivare cellule staminali in laboratorio. Prima che si possano ottenere dei risultati terapeutici passeranno ancora degli anni. E perche’ la Svizzera possa competere nella biomedicina dovra’ stanziare parecchi soldi, anche perche’ si tratta spesso di una ricerca di base che non puo’ contare sul sostegno delle aziende private.
Benche’ l’atteggiamento politico verso la biomedicina sia caratterizzato da timore, una luce di speranza e’ intravedibile. Da qualche tempo i medici si lamentano che le norme vigenti sulla fecondazione medicalmente assistita non corrispondono piu’ al livello scientifico attuale, con conseguenze negative sui risultati pratici. Infatti, la quota di successo degli interventi di fecondazione assistita in Svizzera e’ notevolmente inferiore di quella che ottengono i Paesi con legislazioni piu’ liberali. Uno degli strumenti per ottenere maggiori risultati e’ la diagnosi pre-impianto, che consente di rilevare eventuali malattie genetiche dell’embrione. In Svizzera e’ vietata; quest’analisi la si puo’ fare solo sul feto, con la conseguenza che se appare un’imperfezione grave spetta alla donna decidere se abortire o no. Con la diagnosi pre-impianto cio’ non succederebbe. Il consigliere nazionale Felix Gutwiller (FDP), ha recentemente promosso un’iniziativa parlamentare per cassare questo divieto. Finora, accanto alla FDP, si erano mossi solo i liberali, ma senza successo. Adesso, una loro iniziativa su questi temi, presentata in una Commissione consultiva, e’ stata firmata anche da rappresentanti della sinistra (SP e PDA) e dei conservatori (SVP). Ma ci vorra’ tempo prima che cada il divieto sulla diagnosi pre-impianto. In assenza di politici molto determinati, l’agenda continuera’ ad elencare gli aerei, le imposte, il traffico, tutti temi piu’ popolari della biopolitica.