Subire il razzismo provoca un invecchiamento precoce? Studio

E’ uno studio apparso a gennaio e che pone una domanda nuova, alla quale nessuno vi aveva pensato spontaneamente e che acquisisce un’eco particolare all’inizio del 2014, dove l’odio dell’altro e’ riapparso in modo tanto spettacolare quanto nauseabondo. LA DOMANDA E’ LA SEGUENTE: SUBIRE IL RAZZISMO PROVOCA UN PRECOCE INVECCHIAMENTO? La discriminazione e gli atti razzisti hanno un impatto biologico misurabile presso coloro che ne sono vittime? Uno studio americano riportato dall’”American Journal of Preventive Medicine” non pretende di dare a questo una risposta definitiva ma solo aprire un confronto in virtu’ dei risultati.
Se questo studio attira oggi l’attenzione e’ per il suo approccio originale e interdisciplinare e anche perche’ in calce vi e’ anche la firma del Premio Nobel 2009 per la Medicina, Elizabeth Blackburn, che non ha la frequente abitudine di avventurarsi in cose frivole e incongrue.
Gli autori di questo lavoro sono partiti dalla constatazione che, in Usa, le persone di origine africana rappresentano la popolazione piu’ duramente colpita da malattie gravi, essenzialmente quelle legate all’eta’, malattie che in genere, in quel Paese, appaiono piu’ in la’ nel tempo. Le speranze di vita ne risentono enormemente: 69,7 anni per le persone di pelle nera rispetto a 75,7 anni per le omologhe di pelle bianca. Abitualmente, questa importante differenza e’ messa nel conto delle ineguaglianze sociali (livello di vita, alimentazione, accesso alle cure, etc.). Ma da qualche anno diversi studi si domandano sul legame che potrebbe esistere tra, da un parte, questi dati sanitari e demografici e, dall’altro, lo stress psicosociale che e’ conseguenza degli atti razzisti. Se questa ipotesi e’ corretta, i ricercatori si sono domandati: come questa puo’ essere riportata a livello biologico?
Per rispondere alla domanda, hanno avuto l’idea di concentrarsi nell’ambito prediletto da Elizabeth Blackburn: i telomeri . Come si vede dall’immagine di questo articolo, i telomeri sono sequenze del DNA poste all’estremita’ dei cromosomi, e che formano una specie di cappuccio protettivo. Negli eucarioti (animali, vegetali, funghi e protozoi), quando le cellule si dividono e si duplicano, la copia dei cromosomi e’ incompleta: tutte le ultime sequenze del DNA, quelle che si situano dopo i cromosomi, vengono perse nel corso dell’operazione. Da qui la necessita’ di avere in proposito un “margine di usura”. I telomeri, a loro volta, hanno la funzione di segnalare che si arriva dopo un cromosome ed evitare che informazioni genetiche indispensabili siano perse nel corso della propria duplicazione. Ogni anno, rispetto alle nostre divisioni cellulari, perdiamo anche un po’ dei nostri telomeri. Queste erosioni cromosomiche sono anche associate ad alcune malattie cardiovascolari, all’artrosi o all’Alzheimer.
I ricercatori hanno quindi deciso di servirsi di questa riduzione dei telomeri come un segnale di invecchiamento presso 92 afro-americani di 30/50 anni, in buona salute e provenienti da diversi contesti, ai quali hanno prelevato dei campioni di sangue. Parallelamente a queste analisi, sono stati fatti due test per valutare -se ci si puo’ permettere questa espressione- l’esposizione di queste persone al razzismo. Un questionario e’ stato proposto per valutare le discriminazioni subite nella vita quotidiana, sia che fosse stato rifiutato un impiego o un prestito bancario, l’affitto di una casa, l’accesso alle cure mediche. Alcune domande riguardavano anche il modo in cui le persone si sentivano trattate sul proprio posto di lavoro, nei negozi, nei ristoranti, dalla polizia o davanti a dei giudici. Un secondo test e’ stato fatto per valutare gli angoli personali inconsapevoli di fronte a gruppi etnici. Si tratta di misurare la velocita’ con cui i soggetti associano alcune immagini di persone (bianche o nere di pelle) ad alcune parole che hanno caratteristiche positive o peggiorative. E’ stato quindi stabilito che il 70% degli americani anno dei pregiudizi verso i Neri… pregiudizi che sono presenti anche nella meta’ degli afro-americani.
L’esperimento ha messo in evidenza un effetto, modesto ma significativo, una correlazione tra riduzione dei telomeri ed “esposizione” al razzismo. Ma questo accade solo nelle persone che hanno una cattiva considerazione del proprio gruppo etnico. Cosi’ spiega il primo autore dello studio, David Chae (Universita’ del Maryland): “le persone afro-americane che hanno una visione positiva del proprio gruppo etnico, potrebbero essere protette dall’impatto negativo della discriminazione razziale. Al contrario, coloro che hanno interiorizzato un angolo anti-Neri, potrebbero essere meno adatti a gestire le esperienze razziste, che potrebbero essere derivate da stress e telomeri piu’ corti”.
E’ da notare che David Chae usa il condizionale. Nella conclusione del loro studio, gli autori rimangono molto prudenti sulla portata dei loro risultati, sottolineando il numero ristretto del loro campione. Bisognerebbe, secondo loro, rifare l’esperimento su un numero maggiore di soggetti e ripeterlo nel tempo. Occorrerebbe anche avere maggiori conoscenze sulla dimensione iniziale dei telomeri delle diverse popolazioni e sulla velocita’ media che questi utilizzano poiche’ i dati in merito sono contraddittori. Non solo ma essi insistono sul fatto che questo lavoro e’ un punto di partenza, una strada di ricerca che si apre, facendo incrociare sociologia, medicina e genetica. Nel loro articolo, i ricercatori utilizzano, in merito all’effetto delle discriminazioni, l’espressione “tossine sociali”. Un modo per dire che se il razzismo e’ un veleno in senso figurato, esso potrebbe anche esserlo nel vero senso della parola.

(articolo di Pierre Barthélémy, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 10/02/2014)