Referendum cugino povero della politica. E’ tornato, è ricco e fa paura

Il referendum (abrogativo) esiste con la Costituzione (art.75) e, benchè si è dovuto attendere il 1970 per una legge attuativa (n.352), quando negli anni ‘70 del secolo scorso i clericali (per abrogare il divorzio: respinto) si cominciò ad usarlo. I radicali di Marco Pannella ci provarono e riprovarono e alla fine riuscirono ad imporlo nel sistema e nel confronto politico, finché venne usato dai più che riconoscevano un certo immobilismo nel sistema parlamentare. Nella maggior parte dei casi il necessario e dovuto intervento parlamentare fu essenzialmente per mitigare o negarne gli effetti *.

Dopo, il referendum divenne il cugino povero. Ci furono alcune varianti non abrogative per una sorta di consultazione dell’elettorato. Ma rimase lì a memoria, essenzialmente, della storia del piccolo partito radicale. Tranne le continue minacce opportunistiche di usarlo da parte di qualche partito contro i propri avversari.

In questi giorni il cugino povero è invece tornato dal suo esilio e sta dimostrando di non essere arrugginito. Anzi. Tra giustizia, eutanasia e caccia, col dato eclatante della cannabis le cui firme sono state raccolte in una settimana da piccoli partiti e comitati civici, sta dimostrando di essere ancora presente. Il referendum è tornato ricco mostrando la propria forza di aiuto al sistema parlamentare. Ma, soprattutto i grandi partiti di governo e opposizione, lo percepiscono come una minaccia al loro regime **.

La conseguenza è che per tutti i grandi partiti, col supporto dei loro editorialisti sparsi nei media, la maggiore preoccupazione del momento è cambiare la legge sui referendum per rendere più complicato, e quasi impossibile, il suo utilizzo. Rare le manifestazioni di interesse verso l’accresciuta partecipazione dei cittadini al processo legislativo. E altrettanto rare le riflessioni per rimettere in discussione il metodo parlamentare in voga. Invece di fare tesoro del segnale che gli arriva dai cittadini per migliorare i meccanismi parlamentari (ché il referendum abrogativo è proprio questo), la reazione diffusa è cercare di scacciare il cugino sì da farlo tornare povero nel suo esilio; come si legge sui tram: “non disturbare il conducente”.

Il referendum quindi fa paura! Ci dispiace. Per noi sarebbe occasione di rivitalizzazione della democrazia partecipativa. Ma – sembra – “noi” non siamo graditi e per questo osteggiati. Se qualcuno di “noi”, tra i più entusiasti della riscoperta dell’interesse dei cittadini per la politica, crede che siamo alla vigilia di una implosione del regime… non si faccia illusioni. I referendum, dopo la raccolta delle firme, hanno altri passaggi che sono nelle mani di coloro che reagiscono come abbiamo descritto. La Corte Costituzionale per sentenziarne la legittima; il Parlamento per colmare i vuoti causati dall’abrogazione.
La battaglia è solo all’inizio. Per ora siamo 1-0 per “noi”, ma arbitro e guardalinee sono nelle “loro” mani.

* la maggiore “mitigazione” fu quella che, abrogando alcune norme, il referendum inserì di fatto la responsabilità civile dei magistrati. Ma il legislatore nel suo dovuto intervento pensò bene di trasformarla in responsabilità civile dello Stato sull’operato dei magistrati. Referendum che è in questi giorni riproposto.
** volutamente dimentichi che due tra le più solide democrazie del mondo (Usa e Svizzera) usano i referendum quasi ogni anno, e partiti e regime sono tutt’altro che in crisi.
 

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