I produttori di caffe’ rovinati finiscono per cascare nel narcotraffico
In Messico, i piccoli agricoltori hanno perso l’80% della loro produzione dall’anno scorso. Stanno cercando di trovare una soluzione. Intervista con Luiz Martinez Villanueva, uno dei loro rappresentanti
Luiz Martinez Villanueva, 41 anni, coordina la rete messicana dei piccoli produttori di commercio equo. Presente a Parigi in occasione del COP21, racconta al quotidiano Libération come il cambiamento climatico sta sconvolgendo la produzione di caffe’, quindi tutta la vita locale, nella sua regione di Oaxaca, nel sud del Messico. Fino ad alimentare il narcotraffico. E commenta come i produttori cercano di adattarsi.
D. Che cos’e’ un piccolo produttore?
R. Bella domanda! Noi consideriamo piccolo produttore colui che principalmente produce con il lavoro della propria famiglia e che, in alcune occasioni, puo’ fare ricorso a forza lavoro anche esterna. Nel caso del Messico, questa puo’ provenire da un ampliamento della famiglia o anche dal contrario, e non e’ un lavoro a contratto ma un aiuto famigliare, un baratto.
D. State gia’ constatando gli effetti del cambiamento climatico?
R. Dall’anno scorso, stiano enormemente soffrendo dell’attacco di una malattia del caffe’, la ruggine, che ci ha fatto perdere circa l’80% della nostra produzione. La ruggine viene dal sud, dal Guatemala, dalla Colombia, dall’America centrale, ed e’ arrivata nella nostra regione da qualche anno. Ma prima siamo riusciti a tenerla sotto controllo, finche’ oggi e’ diventata molto piu’ aggressiva. Quest’anno, una molto forte siccita’ ha colpito la produzione del caffe’, ma anche altre piante che sono l’alimentazione di base della popolazione, come il mais e il fagiolo rosso.
D. Nella vostra regione, il cambiamento climatico ha portato ad una diminuzione delle precipitazioni?
R. Si’. Era una regione in cui pioveva molto. In genere, le piogge cominciavano a giugno e terminavano a novembre. Quest’anno, sono slittate a luglio, e’ piovuto fino a meta luglio e poi niente fino a settembre. E’ un cambiamento molto forte. Normalmente, i periodi in cui non piove non superano i quindici giorni. Per cui, un mese e mezzo e’ molto. Il medesimo fenomeno si e’ gia’ verificato l’anno scorso.
Secondo alcuni studi, se il processo attuale continuera’, nel 2050-2055 non ci sara’ piu’ caffe’ in Messico. Questo avra’ conseguenze drammatiche, per noi piccoli produttori. E per le foreste. In Messico e in America centrale, i coltivatori di caffe’ coltivano sotto la protezione delle foreste. Sono dei sistemi nei quali ci sono molte diversita’ di piante, di animali, di insetti e di uccelli. Se il caffe’ sparira’, il produttore tagliera’ la foresta. Questa deforestazione portera’ alla perdita di tutta questa diversita’. Occorre dunque che questa produzione di caffe’ continui, si da poter preservare la foresta. Quando un consumatore consuma una tazza di caffe’ proveniente dalla foresta, contribuisce a mantenere la foresta.
D. Perdere l’80% della propria produzione, cosa significa per le famiglie?
R. Ci sono molte conseguenze. Il cambiamento climatico non prende in considerazione se tu sei ricco o povero, se tu sei una persona che abita in citta’ o in campagna. Ma nel caso della campagna, i produttori sono molto piu’ vulnerabili. Perche’ il loro capitale e’ la loro terra, le loro piante di caffe’, il loro mais, i loro fagioli. Quando questo capitale si perde, il produttore non puo’ piu’ vivere, per cui cerca un altro modo di sussistenza. E quindi ci sono diverse opzioni: una e’ quella di bonificare la foresta, seminare piu’ mais e fagioli. Ma questo ha diverse conseguenze: si perde la biodiversita’, questa emette del carbone e il patrimonio della comunita’ si perde… La seconda opzione e’ di emigrare. Il capo famiglia e i figli adulti emigrano verso le citta’. Se gli va bene, vanno fino agli Usa, Se invece gli va male, sono uccisi, sequestrati, sono cose che accadono. La terza opzione, la piu’ pericolosa e che va molto in questo momento, e’ che molti cascano nel narcotraffico, dove il denaro e’ facile e ci sono molti consumatori in Usa. In tutti i casi, le famiglie si disintegrano. Le donne restano in forza negli appezzamenti di caffe’ e di mais. E occorre trovare qualcuno che guardi i bambini piccoli. Questo compromette la vita dell’intera famiglia, fino ai nonni.
D. Che fare?
R. Noi cerchiamo di garantire che questo capitale non si perda. E se e’ perso, cerchiamo di vedere come recuperarlo. Cerchiamo di adattare il nostro modo di coltivare il caffe’ a questo cambiamento climatico. E ci lavoriamo con qualche sostegno, essenzialmente da parte della Francia, dall’azienda Malongo. Che ci sostiene in un progetto di assistenza tecnica per testare dei nuovi fertilizzanti biologici. Ci sono gia’ dei risultati. Non e’ sperimentato solo presso di noi, ma anche in altri ambiti del Messico e dell’America Latina. Stiamo anche per introdurre delle nuove varieta’ di caffe’ resistenti alla ruggine, delle migliori pratiche agricole (piu’ ombra, la conservazione del suolo…). Si tratta di grandi programmi, per esempio quest’anno piantiamo circa 1,2 milioni di nuovi tipi di caffe’.
D. Quali sono questi nuovi tipi di caffe’? Dei prodotti ogm?
R. No (ride). E’ vietato nel commercio equo, sempre! Sono degli incroci normali, tradizionali, di varieta’ che son state selezionate nei centri di ricerca del Paese per alcuni, mentre altri sono stati testati in altri luoghi, come Panama o Guatemala. E si e’ dimostrato che sono resistenti agli attacchi della ruggine.
D. E’ un elemento di forza, per voi, produrre del caffe’ biologico ed equo, in rapporto agli altri produttori?
R. Si’. Perche’ c’e’ una forte domanda dei nostri prodotti. Soprattutto, questo tipo di produzione ci garantisce dei rientri migliori e piu’ stabili, e questo ci facilita’ di anticiparci, mentre il cambiamento climatico provoca redditi irregolari. Se guardate su una carta quali siano le zone coi maggiori rischi dovuti al cambiamento climatico, c’e’ il Messico, l’America centrale, l’Africa centrale, l’India, la Cina…. Si tratta di rischi legati al clima ma anche ai tipi di governo che noi abbiamo, alla corruzione…
Noi siamo coscienti di questo. Ma pensiamo anche che se i piccoli produttori si organizzano e determinano da soli cio’ che vogliono fare, questi rischi possono diminuire. Dei progetti imposti dal Nord al Sud non possono funzionare Ma dei progetti per i quali c’e’ l’aiuto del Nord con delle idee valide, al Sud possono funzionare.
D. Cosa si aspetta da COP21?
Ah (ride e sospira)! Bisogna sempre attendersi delle buone cose e non mostrarsi pessimisti (ride)! Ma bisogna anche essere realisti, ci sono molte attese sulla questione degli aiuti per adattarsi alla nuova situazione e per l’attenuazione delle emissioni di carbone per i Paesi del Sud. Ma la nostra paura e’ che gli speculatori trovino altri metodi, come i crediti per le emissioni di carbone. Come fare perche’ questi ultimi non diventino uno strumento in piu’ perche’ gli speculatori siano tali sempre di piu’ e giochino ancora di piu’ con la vita e il destino dei piccoli produttori?
Oggi, un produttore produce dei crediti per l’emissione di carbone, il consumatore paga ma ci sono dei fondi neri dove non si sa cosa accada. Quindi, sarebbe bene che COP21 metta in chiaro cosa accade con questa fondi neri. Il commercio equo permette di rendere chiaro questo processo e di far si’ che i consumatori paghino per dei prodotti realmente “estranei al carbone”. E’ importante cio’ che consumiamo. Noi abbiamo la possibilita’ di consumare del caffe’ della Nestle’ o di Malongo. Nestle’ gestisce i produttori. Mentre Malongo li aiuta, e’ una grande differenza.
(intervista di Coralie Schaub, pubblicata sul quotidiano Libération del 09/12/2015)