Presenza altissima di microplastiche nell’oceano Artico
Fino a 12.000 particelle di microplastiche per litro: la cifra e’ colossale a tal punto che a stento ci si crede, ma e’ proprio quello che hanno rilevato i ricercatori dell’Istituto Alfred-Wagener per la ricerca polare e marina (AWI, Germania) dopo aver analizzato dei campioni di banchisa prelevati nella zona artica.
A bordo del Polarstern, la loro nave rompighiaccio per la ricerca, hanno condotto, tra il 2014 e il 2015, tre spedizioni, raccogliendo pezzi della calotta di ghiaccio lungo le derive transpolari (una corrente oceanica maggiore dell’Artico) e dello stretto di Fram (alla congiunzione tra l’Artico centrale e l’Atlantico Nord), si’ da analizzare il tenore e la composizione in base alle microplastiche.
I loro risultati, pubblicati il 24 aprile sulla rivista “Nature Communications”, sono terrificanti: nessuna delle cinque zone analizzate era senza contaminazione. Come i cocktail ghiacciati, le confezioni di ghiaccio contenevano residui di diciassette tipi di plastica, tra cui polietilene e polipropilene (usati soprattutto negli imballaggi), vernici, acetato di cellulosa (derivato dalle sigarette), nylon e poliestere. Con un totale di 1.100/1.200 microdebris per litro di acqua ghiacciata -due tassi ben oltre i rilievi precedenti, anche se alcune differenze metodologiche limitano i confronti diretti.
Settimo continente
Queste particelle sono state trasportate dalle correnti marine, spiegano i ricercatori. E, “con una produzione mondiale che si avvicina a 300 milioni di tonnellate all’anno, non e’ particolarmente eclatante che ci sia una situazione del genere”, sottolinea Johnny Gaspéri, docente del Laboratorio acqua e sistemi urbani (LEESU, università Paris-Est-Créteil).
La banchisa le accumula, sia all’inizio della sua formazione che quando si espande mentre si sposta con le correnti artiche. Di fatto, in base alla zona di prelievo, la composizione in microplastica e’ varia, cosi’ come la loro provenienza. Grazie a dei dati satellitari accoppiati a dei modelli termodinamici di formazione della banchisa, i biologi hanno potuto rintracciare il tragitto dei loro campioni ed identificare anche le fonti possibili di inquinamento.
Per esempio, i tassi elevati di politilene osservati in alcune aree dell’Artico, potrebbero provenire dal settimo continente, quella massa gigantesca di plastica che galleggia nell’oceano Pacifico. Per quanto riguarda i residui di pittura e di nylon, sembrerebbe che risultino da un inquinamento locale legato all’attivita’ umana -essenzialmente la decomposizione degli scafi dipinti di barche e reti da pesca -suggerendo che lo sviluppo di queste attivita’ nell’Artico “lascia delle tracce”, secondo quanto rilevato da Ilka Peekan, primo autore dello studio.
Se le microplastiche sono di una taglia inferiore ai cinque millimetri, i due terzi di quelle prelevate durante le spedizioni del Polarstern, misurano al massimo una ventina di millimetri. “Questo significa che potrebbero essere facilmente ingeriti dai micro-organsmi dell’Artico, come i ciliati o copepodi (la maggiore componente del zooplancton)”, dice Peeken.
Quali sono le ripercussioni ambientali e sanitarie? La ricerca in merito é solo all’inizio. Per il momento, “nessuno puo’ affermare con certezza a che punto queste minuscole particelle di plastica siano suscettibili di essere pericolose per la vita marina, e altrettanto per gli esseri umani”.
Intanto, aggiunge Françoise Amélineau, biologo all’Istituto Littoral ambientale e societario (LiEnSs, università de La Rochelle), si sa che “le plastiche hanno la tendenza a fissare gli inquinanti” e che esiste un fenomeno di “bioamplificazione” in base al quale la concentrazione di inquinanti aumenta ad ogni stadio della catena alimentare. Tanto più che le microplastiche “congelate” non restano intrappolate nel ghiaccio della banchisa: finiscono per essere rilasciate dopo alcuni anni. Con, in un modo o nell’altro, un probabile ritorno ai nostri territori.
(articolo di Sylvie Burnouf, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 26/04/2018)