Perché li chiamano trattori e non contadini?
Si dice la protesta dei trattori. Ma perché? Perché la retorica piace tanto a noi Italiani, senza distinguere quella buona da quella cattiva. In quella buona si chiama metonimia il fatto di usare una parola al posto di un’altra di significato correlato ma distante. Appunto: in questo caso trattore invece di agricoltore o contadino. Una marcia di trattori sembra un’avanzata di macchine potenti, di carri armati e autoblindo, con le ruote enormi e minacciose, il fumo nero, il rombo potente. I tedeschi si sono impauriti per primi, poi anche altri governi euroscettici in ritardo di decenni. La marcia a piedi di agricoltori farebbe meno paura, sarebbe più lenta, non sarebbe al passo coi tempi. Eppure potrebbe essere più efficace, come fu efficace quella di Ghandi che nel 1930 si fece a piedi 390 chilometri per arrivare al mare, prendere il sale e violare il monopolio di produzione del Governo Britannico che imponeva forti tasse su un bene primario.
La marcia dei trattori sarebbe più efficace se fosse supportata da ragioni serie e legittime. Qui entra in gioco un’altra forma di retorica, quella cattiva, altisonante, roboante e trombona, insomma quella che mette insieme certi politici e quasi tutte le emittenti televisive. Queste ci raccontano con insistenza che i sondaggi dicono che sette italiani su dieci sono dalla parte dei trattori e che quasi la metà ritiene che la colpa sia delle istituzioni europee. Fa impressione il fatto che i prezzi al consumo siano dalle dieci alle seicento volte maggiori di quelli pagati ai produttori (gli agricoltori anzi detti trattori). Ma che centra l’Europa delle istituzioni con questo? C’entra, ma solo in parte, perché la PAC cerca di favorire l’integrazione dell’offerta alimentare con la cosiddetta politica from farm to fork, (sarebbe il cosiddetto Km 0) indicando nella tracciabilità dei prodotti lo strumento per integrare l’offerta nella filiera che porta alla tavola dei consumatori.
Ebbene, qui casca l’asino, perché gli strumenti traccianti servono per comunicare la qualità ai consumatori, che dovrebbero scegliere (per miracolo del cielo) i prodotti migliori e quelli locali. Ma questa politica lascia la distribuzione e la produzione libere di organizzarsi. Ora, la GDO è superorganizzata, concentrata in poche mani e agguerrita nelle contrattazioni, mentre gli agricoltori non lo sono, come non lo sono mai stati. La dispersione dei “trattori” in molti comitati che protestano separatamente non fa che confermare la storica idiosincrasia agricola verso l’aggregazione dell’offerta. Qui siamo arrivati, ma presto torneremo indietro ognuno a casa sua e col suo trattore.
Poi ci sono due attori oscuri. Uno è Coldiretti, che fa gli interessi di una parte di agricoltori (le imprese più grandi, cosiddette professionali) ma non di tutto il sistema produttivo agricolo, che è fatto anche da piccoli contadini. Confagricoltura non pare da meno, anzi. L’altro agente oscuro fa capo al sistema delle cooperative che innalzano l’insegna Coop, che sarebbe nata come consorzio di acquisto dei consumatori e che avrebbe tutto l’interesse a integrare gli agricoltori nella filiera della distribuzione agroalimentare per fare il vero interesse dei consumatori. Legacoop e Legacoop agroalimentare che cosa ci stanno a fare? Avrebbero potuto avere un grande ruolo nella politica agricola e agroalimentare dell’Italia agendo con i contratti di filiera, riconducibili a una legge sulla contrattazione negoziata varata del 1996 e più specificamente alla legge legge n. 289 del 2002 sui contratti di filiera nel settore agroalimentare. La Coop si è invece trasformata in Spa come Ipercoop che agisce né più né meno come le altre imprese della GDO, di fatto a danno dei piccoli produttori che ogni tanto vengono consolati con qualche corner dedicato ai prodotti locali.
Ecco perché li chiamano trattori e non agricoltori, perché armati di ferraglia rumorosa si può evitare di vedere il vero problema e dare impunemente la colpa all’Europa, retoricamente, popolarmente, unanimemente.
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