Ovociti cercasi
Kim ha 35 anni e di lavoro riassume testi scientifici per una societa’. Recentemente ha fatto qualcosa di abbastanza insolito: ha donato ovociti alla ricerca. “Lessi un annuncio su un giornale, in cui si diceva che per svolgere le loro attivita’ su diabete e Parkinson i ricercatori hanno bisogno di ovociti nuovi. Mio nonno aveva il Parkinson”. Kim e’ una delle trenta donne che hanno ceduto i loro ovociti al Bedford Stem Cell Research Foundation”, vicino a Boston. Ma anche all’Universita’ di Harvard e in California, Gran Bretagna, Spagna e Asia i ricercatori stanno cercando giovani e sane donatrici di ovuli. Di per se’ questa non e’ una novita’: ci sono donne che forniscono ovociti alle cliniche di fecondazione assistita in cambio di un bel gruzzolo di denaro; avviene con una certa frequenza in Usa, per esempio. Di nuovo c’e’ che adesso le donne li possono mettere a disposizione della ricerca scientifica. Kim in cambio ha ricevuto 4.000 dollari.
La ricerca con le cellule staminali non puo’ prescindere dagli ovociti, strumento indispensabile per produrre cellule staminali mirate su singoli pazienti, con cui tentare d’elaborare nuove terapie contro Alzheimer, Parkinson ed altre malattie oggi inguaribili. Poiche’ la cosiddetta clonazione terapeutica e’ ancora “acerba”, serviranno molti ovociti. Quanti, nessuno lo sa. Sicuramente la tecnica funziona solo con ovociti freschi, meglio ancora se provengono da donne in eta’ compresa tra 21 e 35 anni. Pero’ non e’ cosa tanto semplice. Parliamo di una pratica piuttosto spiacevole, talvolta rischiosa, che comporta una stimolazione ormonale con un’iniezione quotidiana per una o due settimane affinche’ maturino piu’ ovuli, e nel giorno della “raccolta” la donna viene anestetizzata per il prelievo -generalmente da 3 a 12 ovociti. Alcune reagiscono male agli ormoni; i tipici effetti collaterali della stimolazione sono nausea, sbalzi d’umore e aumento di peso. Nel 2%-5% dei casi capita la temuta iperovulazione, ossia maturano 30 o piu’ ovociti contemporaneamente, i vasi sanguigni diventano permeabili, la pancia si gonfia e in alcuni rari casi c’e un blocco renale. Il rischio di morire e’ pero’ estremamente basso; secondo uno studio, sarebbe inferiore allo 0,01 per cento. Ancora incerti, invece, i rischi a lungo termine, come il possibile nesso con il tumore.
Ma ci sono donne che si sottopongono volontariamente a simili disagi? Ci sono. “Non ho mai dubitato della disponibilita’ di giovani donne a cedere gli ovuli qualora sapessero di poter essere d’aiuto alle persone attraverso nuove terapie”, affermava l’anno scorso in un’intervista al quotidiano The Guardian Ian Wilmut, “il papa’” della pecora Dolly. Wilmut ha chiesto l’autorizzazione all’autorita’ britannica HFEA di poter utilizzare gli ovuli di donatrici volontarie per la sue ricerche nel campo della sclerosi laterale amiotrofica. Lo ha potuto fare poiche’ numerose donne, che avevano cognizione diretta delle conseguenze terribili di quella malattia, si sono spontaneamente dichiarate disponibili.
Ann Kiessling, direttrice della Bedford Stem Cell Reserach Foundation ha analizzato i motivi delle 400 donne che finora hanno manifestato interesse alla donazione di ovuli, ed e’ giunta a una conclusione interessante. Tranne un’eccezione, nessuna delle volontarie aveva mai preso in considerazione l’ipotesi di vendere gli ovuli alle cliniche di fecondazione assistita. “Abbiamo a che fare con tutt’altra clientela”, osserva Kiessling. Praticamente tutte hanno parenti o amici affetti da una grave malattia. “Queste donne sono interessate alla ricerca, vogliono collaborare”. Non sono i soldi a motivarle. Ma lo farebbero se non fosse previsto neanche un piccolo risarcimento? “Probabilmente no”, e’ la risposta di Kim, che con quei 4000 dollari ha potuto saldare alcuni conti. Del resto, il tempo speso e il disagio patito non sono di poco conto. Ovociti contro soldi -e’ un tema che scalda gli animi dei ricercatori sulle staminali, anche per gli echi della brutta vicenda del coreano Woo Suk Hwang, che aveva sempre sostenuto di aver avuto a disposizione ovociti donati volontariamente e senza compenso, mentre poi e’ emerso che delle 129 donne che gli avevano fornito piu’ di duemila ovociti, non tutte erano volontarie e disinteressate: alcune erano sue collaboratrici, altre sono state pagate, e almeno due di loro hanno sporto denuncia contro lo Stato. Da un simile scandalo i ricercatori non possono che prendere le distanze, tuttavia non c’e’ concordanza su come risolvere la questione. Alcuni ritengono immorale lo scambio ovociti-denaro giacche’ potrebbe indurre donne economicamente in difficolta’ a correre dei rischi. National Academy of Sciences suggerisce di rimborsare solo le spese vive, ad esempio i viaggi . Anche all’Universita’ di Harvard si segue il criterio di accettare solo le donne che lo fanno per il bene della scienza; lo ha affermato George Daley al Newsweek. “E’ molto paternalistico”, ritiene Ann Kiessling. “Non si potrebbe semplicemente rispettare la decisione delle donne informate se cedere o no gli ovociti alla scienza? Per farlo devono comunque superare un test psicologico, fare prelievi di sangue, sottoporsi a un piccolo intervento chirurgico, e spendere una cinquantina d’ore del loro tempo. Senza dimenticare che vengono da sole ad eseguire gli adempimenti preliminari. Nessuno le costringe o le sfrutta”. La divergenza di opinioni nasce dal fatto che non si riesce a trovare un accordo su some debbano essere valutate le donatrici di ovociti. Sono equiparabili ai donatori di organi, che corrono un rischio per puro altruismo? Alcuni sostengono che mentre i donatori di organi possono effettivamente salvare delle vite, la situazione delle donatrici di ovuli e’ diversa perche’ la ricerca con le staminali e’ ancora agli inizi, e nessuno sa se le speranze dei ricercatori si potranno mai realizzare. Altri vedono invece un’analogia con i partecipanti a studi clinici, quasi sempre retribuiti per lo sforzo e il tempo che vi dedicano. “Non ha senso risarcire soggetti giovani e volontari che si prestano per alcuni interventi e altri no”, e’ il commento apparso di recente su New England Journal of Medicine. Ma forse c’e’ una via d’uscita dal dilemma, ossia la soluzione elegante adottata dal North East England Stem Cell Institute di Newcastle. Se la donna che pratica la fecondazione medicalmente assistita acconsente a cedere alla ricerca scientifica gli ovuli eccedenti, ha diritto a uno sconto; paga l’intervento 1.250 sterline anziche’ 2.500. Il vantaggio di questo metodo, detto “egg-sharing”, consiste nel fatto che la donna si sottoporrebbe comunque a una stimolazione ormonale e quindi non corre rischi inutili. Naturalmente occorre una scelta accurata in modo da non ridurre le possibilita’ di una gravidanza. “Prendiamo in considerazione solo le donne che producono un numero sufficiente di ovuli”, dice Alison Murdoch, responsabile del programma. “Se una donna produce dodici ovociti, ce ne da’ sei”. Il laboratorio di Murdoch e’ proprio accanto alla clinica della fecondazione. “Gli ovociti devono essere consegnati in laboratorio entro pochi minuti dal prelievo, altrimenti non sono utilizzabili”, dice la dottoressa Murdoch, che con il loro aiuto vorrebbe produrre cellule staminali embrionali ed elaborare nuove terpaie contro il diabete. L’autorizzazione per l’egg-sharing l’ha ottenuto dalle autorita’ britanniche lo scorso luglio. Ora e’ in attesa dei finanziamenti. Quello che non le manca sono le donne disponibili a donare gli ovociti eccedenti: ogni settimana ci sono una o due donne che la contattano.
Traduzione di Rosa a Marca