OGM. I conflitti di interesse negli studi dell’Accademia americana delle Scienze

 Nel maggio del 2016, l’Accademia americana delle Scienze faceva un rapporto molto atteso sulle coltivazioni geneticamente modificate. Mediatizzato nel mondo intero, questo rapporto generale di letteratura scientifica concludeva con l’assenza di rischi sanitari e ambientali delle piante transgeniche commercializzate, ma sottolineava l’assenza di benefici sui rendimenti.
Il testo e’ stato redatto in totale indipendenza? La domanda e’ posta dalla rivista “PloS One” che pubblica, nella sua ultima edizione, uno studio che mostra l’esistenza di conflitti d’interesse in seno al comitato di esperti che aveva coordinato il rapporto. Secondo Sheldon Krimsky (Universita’ Tufts di Medford, Massachusetts) e Tim Schwab (Food&Water Watch), circa un terzo dei 20 principali autori del rapporto hanno dei legami finanziari con delle societa’ di biotecnologie. Questi rapporti non erano stati individuati e resi pubblici nel rapporto.
E’ raro che l’integrita’ di una rapporto proveniente da un’istituzione cosi’ prestigiosa sia messo in causa da una rivista importante. “Abbiamo scelto di esaminare questo rapporto perche’ e’ uno dei piu’ esaustivi mai pubblicato sulle biotecnologie in agricoltura, una argomento di intensi dibattiti pubblici, e perche’ l’Accademia americana delle Scienze e’ dotata da lungo tempo di una politica di gestione dei conflitti d’interesse”, scrivono Tim Schwab e Sheldon Krimsky.
“Grazie al finanziamento”
Un gran numero di lavori sono stati pubblicati questi ultimi decenni nella letteratura scientifica, mettendo in chiaro quello che i ricercatori chiamano “grazie al finanziamento”. “Questi lavori mostrano che uno studio finanziato da un’impresa privata tende a riprodurre delle conclusioni piu’ favorevoli agli interessi del finanziatore rispetto agli studi condotti con dei fondi pubblici -dicono gli autori-. Questo fenomeno riguarda in modo notevole l’acquisizione dei dati e l’interpretazione dei risultati”.
Tim Schwab e Sheldon Krimsky hanno quindi setacciato le fonti aperte -dichiarazioni d’interesse annesse a degli articoli scientifici, curricula vitae, base di dati di brevetti,etc. Secondo i loro ricercatori, sei membri del gruppo di 20 scienziati messi insieme dall’Accademia americana delle Scienze erano stati finanziati nei loro lavori di ricerca da delle societa’ legate alle biotecnologie vegetali, nei tre anni precedenti il lancio della redazione del rapporto. Cioe’ circa un terzo del gruppo. Tra essi, cinque avevano anche dei brevetti su degli organismi geneticamente modificati (OGM) destinati all’agricoltura, o su dei metodi per ottenere tali organismi. Tra i rapporti d’interesse scoperti dai due autori, non ce n’era nessuno con delle aziende sfavorevoli allo sviluppo delle biotecnologie vegetali (societa’ legate all’agricoltura biologica, per esempio).
Inoltre, l’istituzione stessa si trova in una situazione di conflitto d’interessi finanziari. Nel 2014, l’anno dell’avvio dei lavori di perizia -notano i ricercatori-, “le tre principali imprese di biotecnologie vegetali (Monsanto, Dow e DuPont), hanno ognuna donato 5 milioni di dollari (4,7 milioni di euro) all’Accademia americana delle Scienze”. “Alcune di esse si erano accordate per dei progetti sviluppati dall’Accademia e che riguardavano le biotecnologie”. Tra questi un colloquio del 2015, organizzato dall’Accademia sulle iniziative di comunicazione della scienza delle biotecnologie vegetali presso l’opinione pubblica”. Questo colloquio era anche co-promosso dal presidente del gruppo di esperti messi insieme dall’Accademia per redigere il famoso rapporto.
Imbarazzo
Non e’ tutto: Tim Schwab e Sheldon Krimsky aggiungono con crudelta’ che il finanziamento del colloquio in questione non era stato reso pubblico nel corso dell’evento, ma in un rapporto pubblicato diversi mesi dopo dall’Accademia. Quest’ultima non ha risposto a richieste di chiarimenti da parte del quotidiano Le Monde. E c’e’ anche la beffa: Schwab e Krimsky aggiungono che la prestigiosa rivista scientifica edita dalla venerabile istituzione, Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), stipula, in virtu’ della sua politica di gestione dei conflitti d’interesse, degli accordi con gli scienziati che vi pubblicano i loro lavori, e che “omettendo, deliberatamente o per imprudenza, di rivelare i loro conflitti d’interesse” possono vedere vietata la loro pubblicazione sulla rivista per un periodo di tempo determinato.
La questione e’ specialmente piu’ imbarazzante per l’Accademia delle Scienze visto che un altro progetto di rapporto, sulle nuove tecniche d’ingegneria del DNA (come la Crispr-Cas9, per esempio), e’ ugualmente al centro di una controversia -sempre per ragioni di conflitto di interessi non dichiarati. La questione e’ stata rivelata a dicembre 2016 dal quotidiano The New York Times, che indica come sette dei tredici ricercatori selezionati dall’Accademia per mettere le basi sulla materia, erano in conflitto di interessi potenziali. “Inoltre, un impiegato dell’Accademia che ha contribuito alla scelta degli scienziati partecipanti al gruppo di esperti, era in cerca di un nuovo impiego quando aveva scritto le sue raccomandazioni -scrive il quotidiano americano. Tre delle tredici persone raccomandate -dopo che tutte erano state gia’ selezionate- erano membri del consiglio d’amministrazione del suo nuovo datore di lavoro, una nuova fondazione che lavorava sulle biotecnologie”.
Trattandosi di queste tecnologie, ricordano Schwab et Krimsky, la questione dell’imparzialita’ degli esperti si pone maggiormente poiche’ esse si appoggiano su degli studi finanziati da interessi privati. In un articolo critico su quanto pubblicato a dicembre in materia, Denis Bourguet, Eric Lombaert e Thomas Guillemaud, ricercatori all’Istituto nazionale della ricerca agronomica (INRA), hanno mostrato che il corpo di studi pubblicato in materia sull’efficacia e/o durata delle coltivazioni transgeniche di tipo Bt (resistenti a dei parassiti) soffriva di un significativo errore di finanziamento.
“Noi mettiamo in evidenza che i legami tra i ricercatori e l’industria delle biotecnologie vegetali sono noti, col 40% degli studi esaminati che presentano dei conflitti di interesse -scrivono i tre ricercatori francesi. In particolare, mettiamo in evidenza il fatto che, in rapporto a quelli senza conflitto di interessi, gli studi che presentano tali legami, concludono in modo favorevole agli interessi delle imprese di biotecnologie con una frequenza maggiore del 50%”.

(articolo di Stéphane Foucart, pubblicato sul quotidiano le Monde del 09/03/2017)