L’officina della vita
Giovanni Sabato, biologo e divulgatore scientifico, lavora come giornalista con l’Agenzia Zadig, fa parte della redazione di “Tempo Medico” e collabora con vari giornali e riviste. Lo conosco a Ravenna, a margine di un incontro col pubblico per la presentazione del suo libro: L’officina della vita (“Cellule staminali, medicina rigenerativa, trapianti: come si ripara -e si riparera’- il corpo umano. Ed. Gli Elefanti Saggi. Prefazione di Roberto Satolli. 9 euro). E’ un saggio che ha l’ambizione di cercare di fare il punto sulle cellule staminali, sia riguardo alle loro possibilita’ terapeutiche, evitando allarmismi o aspettative irreali, sia con riferimento alle implicazioni etiche che lo sviluppo della ricerca in questo settore della medicina comporta. Sabato, giovanissimo studioso, riesce a spiegare con termini semplici ed utilizzando un linguaggio non eccessivamente tecnico quelle che sono le potenzialita’ in questo settore della ricerca scientifica.
A che punto e’ giunta la ricerca scientifica riguardo alle cellule staminali e alla loro possibilita’ di impiego nella cura delle malattie?
Si puo’ dire che la ricerca da un lato stia facendo passi davvero da gigante, dall’altro e’ ancora probabilmente molto piu’ lontana di quanto noi non spereremmo dalla possibilita’ di curare realmente la maggior parte delle malattie di cui si parla (dal morbo di Parkinson, agli infarti, al diabete).
Come sappiamo, le cellule staminali si usano da tempo per i trapianti di midollo osseo; per le leucemie oramai si riescono ad utilizzare le staminali del sangue che funzionano anche meglio di un tempo. In tali casi, si tratta comunque di usi per i quali esistono delle staminali gia’ in abbondanza nelle persone, ed esse si utilizzano per riparare lo stesso tessuto a cui appartengono; e’ questo un impiego delle cellule staminali che gia’ potremmo definire di routine. Quello che, invece, ha fatto tanto parlare e’ l’uso delle staminali per riparare, ad esempio, il muscolo cardiaco dopo l’infarto o i circuiti nervosi, etc. Orbene, con riferimento a queste applicazioni ci son stati molti progressi, alcuni risultati incoraggianti sono stati raggiunti con esperimenti su animali e qualcuno comincia a fare anche le prime prove sull’uomo; tuttavia, scienziati anche italiani, come Angelo Vescovi, che sono tra i pionieri della ricerca in questo campo, dicono che per arrivare a terapie che veramente funzionino e che si possano proporre con fiducia anche ai malati, ci vorranno sicuramente parecchi anni ancora, nell’ordine di almeno cinque anni.
E’ quindi fondamentale investire nella ricerca sulle cellule staminali, tuttavia tale ricerca corre il rischio di creare dei problemi di natura etica. Qual e’ la sua posizione al riguardo e quali, secondo lei, dovrebbero essere i limiti della ricerca scientifica con riferimento alle cellule staminali embrionali?
E’ una bella domanda! Secondo la linea etica che, per semplicita’, possiamo definire “laica” l’embrione e’ un soggetto che comunque deve essere trattato con un certo rispetto. Non e’ certo un oggetto di cui disporre con la massima liberta’, pero’ non e’ neanche paragonabile ad un individuo adulto, ad una persona, quindi e’ considerato lecito il fatto di utilizzare embrioni ai primissimi giorni dello sviluppo. Ricordo che per la ricerca sulle staminali si parla di embrioni di cinque giorni che non hanno assolutamente alcuna parvenza umana; inoltre, gli embrioni che in generale si utilizzano per ricavare le staminali sono quelli congelati che comunque sarebbero destinati ad essere gettati via dopo qualche anno.
Lei si e’ proprio riferito allo stato delle cellule embrionali dopo qualche giorno dalla fecondazione, secondo lei ha veramente senso porre dei limiti di natura etica che si basano sull’attribuzione di personalita’ a 200 – 250 cellule al massimo quante sono quelle contenute nella blastula?
Appunto! Secondo me si tratta di qualcosa che ha la potenzialita’ per divenire una vera e propria vita umana, ma che certamente non e’ paragonabile a un vita umana pienamente compiuta. Secondo il punto di vista della maggior parte degli embriologi non e’ neanche definibile un individuo, perché fino ai quattordici giorni si tratta ancora di un ammasso di cellule che puo’ dare origine anche a piu’ di un individuo, che comunque non ha una sua unicita’ o identita’ ben definita. Io sono d’accordo sul fatto che non se ne possa fare assolutamente tutto cio’ che si vuole, pero’, nel momento in cui ci sono delle ricerche che hanno una loro giustificazione etica (perché possono contribuire a salvare la vita o comunque a migliorare la qualita’ della vita di milioni di persone), mi sembra piu’ che giustificato il fatto che si impieghino anche le cellule staminali embrionali.
Se poi si considera che si dibatte di embrioni che comunque andrebbero distrutti.
Destinare alla spazzatura gli embrioni congelati e’ un’idea che non trovo molto condivisibile. Le ragioni di chi si oppone al loro utilizzo per la ricerca scientifica sono un po’ come quelle di chi dice che anche se una persona e’ comunque destinata a morire, ucciderla prima non e’ giusto; poi c’e’ chi teme che usare degli embrioni (che sarebbero comunque un soggetto debole rispetto all’adulto) possa aprire la strada all’idea che il debole si possa sacrificare per il piu’ forte, quindi perché non sacrificare i piu’ anziani per salvare vite piu’ giovani? A ben vedere, queste mi sembrano solo delle estrapolazioni, dei paradossi che vanno molto oltre quello che si sta facendo.
La strada che si sta percorrendo in Italia sul terreno della ricerca scientifica anche per quanto riguarda le cellule staminali, e’ quella proibizionista; secondo lei e’ ragionevole proibire in Italia quello che altri scienziati possono fare in altri Paesi? Che senso ha la strada proibizionista unilaterale se poi altrove la ricerca scientifica va avanti?
Mi sembra veramente difficile pensare che si arrivi a tanto, non mi sembra realistica come posizione. Ai proibizionisti direi: “volete proibire la ricerca scientifica? Allora dovrete avere il coraggio di rinunciare alle terapie che saranno messe a punto in Inghilterra, negli Stati Uniti o altrove nel mondo!”.