Un nuovo antibiotico dalla canna da zucchero. Dolce salvezza  

Nel XV secolo, Enrico il Navigatore, principe del Portogallo, promosse molteplici navigazioni alle quali seguirono nuove scoperte geografiche. E’ stata una importante figura dell’era delle esplorazioni e  la sua corte divenne luogo di studio e di progettazione per matematici, astronomi, geografi, cartografi e tecnici navali. 

Sotto il suo principato iniziò la coltivazione su vasta scala della canna da zucchero, una pianta originaria dell’India e dell’Estremo Oriente. Diffusasi prima in alcune isole portoghesi (Madera, São Tomé),  poi in Brasile e nelle isole caraibiche, oggi la canna da zucchero (Saccharum officinarum) è coltivata in quasi tutti i paesi dell’Asia e dell’America, in Africa e in Australia e – insieme alla barbabietola da zucchero – rappresenta la globalità della produzione di zucchero. 

I ricercatori del John Innes Centre (GB), in collaborazione con i colleghi del  Technische Universität di Berlino e dell’Università Jagellonica, (Polonia), hanno scoperto che un batterio infestante la canna da zucchero produce una sostanza efficace contro alcuni microorganismi patogeni per l’uomo e diventati resistenti al trattamento con antibiotici. 

Lo Xanthomonas albilineans, è un batterio che causa la malattia delle “foglie scottate” nella canna da zucchero. Produce una  tossina, l’albicidina, nociva per la pianta ma che si è rilevata  tra i più forti antibiotici degli ultimi decenni. E’ altamente efficace nell’uccidere batteri, tra cui l’Escherichia coli e lo Staphylococcus aureus. Il meccanismo con il quale questi batteri diventano resistenti al sistema immunitario e agli antibiotici è stupefacente ed è stato studiato dai ricercatori dell’Università di Newcastle (GB): in presenza di antibiotici questi microbi si spogliano del loro abito (la parete cellulare) diventando “invisibili” ai farmaci per re-indossarlo una volta cessata l’azione dei medicinali.

Per risolvere il problema occorreva trovare un antibiotico che agisse sul patrimonio genetico dei batteri. L’albicidina, l’antibiotico “dolce”, interferisce proprio sul meccanismo di formazione del DNA microbico. Utilizzando la microscopia crioelettronica, gli scienziati sono riusciti a capirne il funzionamento: l’albicidina prende di mira un enzima presente nei batteri chiamato “girasi” che ha il compito di modellare il DNA batterico, prima tagliandolo e poi ricucendolo. L’antibiotico si insinua tra i due passaggi impedendo il rammendo e provocando così la rottura del DNA e la morte del batterio.

“Crediamo che questo sia uno dei nuovi antibiotici più interessanti. Ha un’efficacia estremamente elevata in piccole concentrazioni ed è molto potente contro i batteri patogeni, anche quelli resistenti agli antibiotici ampiamente utilizzati”, ha dichiarato il dottor Dmitry Ghilarov, capo del gruppo europeo che ha lavorato al progetto.

Il passo successivo sarà quello di passare dalla fase sperimentale alla produzione farmaceutica dell’antibiotico “dolce”.

(Articolo pubblicato sul quotidiano LaRagione del 14 febbraio 2023)

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