La ministra della Giustizia contro la modifica della legge sul fine vita

Il 9 ottobre, la ministra della Giustizia Rachida Dati e’ stata sentita dalla commissione Leonetti (incaricata di valutare se la legge sul fine vita o loi Leonetti abbia bisogno di aggiustamenti e quali, ndr.). La ministra si e’ detta contraria a un cambiamento della legge del 22 aprile 2005, ma ritiene opportuno farla conoscere meglio. “Il divieto di uccidere e’ un divieto fondativo e assoluto della nostra societa’. Il riconoscimento di un diritto alla morte sarebbe la negazione di valori essenziali delle nostre societa’ moderne”, ha dichiarato. Ha messo in guardia i deputati dai rischi di una depenalizzazione dell’eutanasia. Per lei, “la legge del 2005 si caratterizza per la grande umanita’ poiche’ permette una morte acquietata nella dignita’”. “Essa consente il rispetto della persona e della sua volonta’, la persona non e’ piu’ spossessata dalla sua morte, non c’e’ piu’ accanimento terapeutico”. E ancora, “E’ il riconoscimento delle cure palliative, e permette al personale medico d’accertarsi delle aspettative del paziente”. La depenalizzazione dell’eutanasia farebbe correre il rischio di gravi “derive”, secondo la guardasigilli.
“La questione principale non e’ cambiare la legge, l’urgenza e’ piuttosto di farla conoscere meglio e di spiegarla”, ha dichiarato. Per rimediare alla lacuna, Rachida Dati chiede un rafforzamento dell’informazione delle famiglie e dei parenti nel caso in cui i malati siano impossibilitati a esprimersi. “Occorre che le conclusioni mediche siano portate a conoscenza di tutti i parenti e occorre rafforzare l’informazione e la formazione dei magistrati”.
Si e’ dichiarata favorevole alla creazione di un “Osservatorio sul fine vita”, proposto dalla commissione, che dovrebbe raccogliere le informazioni sulle pratiche mediche nel fine vita in Francia. Intanto e’ in via d’elaborazione una circolare da indirizzare alle procure per far conoscere meglio la legge vigente, e per armonizzare l’iter delle procedure. Infine, la ministra propone delle modifiche al codice di deontologia medica per permettere ai medici di dare una “informazione adeguata” alle famiglie quando il paziente non e’ piu’ in grado di farlo.
In precedenza c’erano state le dichiarazioni dell’ex guardasigilli Robert Badinter, il quale ha ricordato come “dalla rivoluzione francese, il suicidio non e’ piu’ ne’ un crimine ne’ un reato. Non si dovrebbe essere processati per complicita’ nel suicidio. Certo, nel 1988 e’ stato istaurato un reato nel diritto penale, quello d’istigazione al suicidio. Che cosa significa?” E si e’ chiesto: “se ci fosse un servizio medico che permettesse alla gente di suicidarsi sarebbe un’istigazione, e dunque da perseguire penalmente? Non so, temo che si tratterebbe comunque di un’incitazione”. Tornando su quest’aspetto, Jean Leonetti si e’ chiesto anche lui: “come stabilire la distinzione tra assistenza al suicidio e istigazione al suicidio?”. Jean-Marie Huet, direttore degli Affari criminali e delle grazie, ha dichiarato davanti alla commissione che “la messa a disposizione di medicinali, effettuata in modo neutrale, non sembra potersi configurare come istigazione al suicidio, e sarebbe difficile intraprendere un’azione giudiziaria”. Il giorno prima, il decano Bernard Beignier aveva ricordato che “la porta dell’assistenza al suicidio non e’ chiusa, ma e’ stretta. Non voglio che diventi un portico”. E’ quello che ha ribadito la ministra: “E’ esatto, ma non esiste il diritto al suicidio. Qualche volta la frontiera e’ labile tra aiuto al suicidio e istigazione”.