I manicomi criminali, roba da matti o da far ammattire
Ospedale psichiatrico giudiziario, meglio, manicomio criminale. Nelle colline vicino a Firenze, a Montelupo una splendida villa medicea ne ospita uno. La villa in realta’ ospita l’amministrazione, le ex stalle e un altro edificio ospitano i matti. Chi prosciolto in sede di processo, chi impazzisce dopo la condanna in carcere e chi e’ matto a meta’ (i seminfermi). Entri nella splendida villa e poi passi nel reparto accoglienza. Il termine non si addice al primo girone infernale. Sono poche celle, piene di uomini che sono appena arrivati e che devono essere esaminati per capire dove sistemarli. Altri vengono rimandati in osservazione dalle sezioni perche’ hanno fatto una rissa, hanno dato in escandescenze, insomma devono essere almeno momentaneamente allontanati. C’e’ anche la cella con i letti di contenzione, non piu’ di 24 ore assicurano i medici e gli infermieri, e proprio quando non se ne puo’ fare a meno.
Nell’edificio, recentemente ristrutturato, trovi quel ragazzo che ti chiede se anche usate gli puoi mandare delle bambole Barbie, a lui piacciono tanto. Poi trovi un signore che ti obbliga a segnare il suo vero nome, non quello con cui e’ stato registrato, e il nome del suo avvocato di Los Angeles, devi assolutamente farlo uscire, altrimenti morirai anche tu per colpa degli esplosivi telecomandati che ha in bocca e ti mostra a sostegno della sua tesi alcune radiografie. A me possono sembrare delle otturazioni, ma io sono in visita.
Saliamo di un piano, un nuovo girone. Il fumo spesso comunque resta. Ovviamente se venissero vietate le sigarette il luogo esploderebbe davvero, e nonostante il nome ospedale, il divieto di fumo resta appeso come mera formalita’ e suggerimento fornito da un mondo diverso rispetto a quello. Trovi un “camorrista” che dopo averti spiegato che lui sta benissimo e che ha pagato profumatamente -25 mila euro- una perizia psichiatrica per non finire in carcere, ora se ne vorrebbe anche andare, ma inizia ad intuire che la condanna piu’ lieve della misura di sicurezza rischia di trasformarsi in una sorta di “ergastolo bianco”. Il termine circola tra gli internati e rende bene il concetto: nessuna condanna, nessuna pena, ma la proroga che puo’ andare avanti all’infinito finche’ un medico ravveda gli estremi della pericolosita’ sociale. Trovi anche chi ti dice che ascolta Radio radicale e Radio carcere in particolare, e uno che vorrebbe l’indirizzo privato, molto privato, di Emma Bonino perche’ le piace molto.
Sali di piano, ti porti sempre dietro il fumo e lasci le due sezioni Arno e Pesa per salire alla Torre al terzo piano dove restano ancora 4 celle dell’ala vecchia, in funzione fino allo scorso anno. Fanno semplicemente piu’ schifo, ma certo anche le nuove sarebbe da capire come mai invece che farle singole o al massimo da due siano state progettate per quattro o cinque, e cosi’ visto il sovraffollamento cronico sono ammassati sette o otto letti e relativi pazienti-internati-carcerati. Non tutti sono in piedi, molti dormono. Alcuni per i farmaci, altri per noia, altri per malattia. Trovi quello che anche senza essere psichiatra puoi dire essere un “grafomane”, scrive a tutti, giornali, garanti per i detenuti, parlamentari e a tutti racconta dell’inferno del lager che vive quotidianamente. Ti accompagna e ti fa vedere i casi piu’ penosi, poi ti chiede se gli mandi dei giornali porno, glieli hanno ingiustamente sequestrati, una censura che sostiene abbia colpito anche i suoi quotidiani preferiti, Unita’ e Manifesto, che gentilmente ora gli vengono spediti in abbonamento. Cosi’, dice sempre lui e cosi’ racconta nelle lettere. Lucide lettere di denunce su pestaggi, di violenze sulla magistratura di sorveglianza e sui trattamenti sanitari obbligatori. Scrive sui letti di contenzione, scrive sullo sporco e sul freddo. Inaugurata un anno fa l’ala ristrutturata ha continui problemi di caldaia, a dicembre per molti giorni non funzionava il riscaldamento, torno in visita i primi di gennaio e il “camorrista” mi mostra che ora c’e’ il problema opposto, dai rubinetti esce solo acqua calda! Possono farsi il te’, penso io, oppure visto che e’ inverno mettere la bottiglia alla finestra e nel giro di poco tempo e’ fredda. Insomma, basta organizzarsi.
Ridiscendi i gironi, sempre seguita dalla densa nuvola di fumo di sigarette, ignori il passeggio, l’hai gia’ visto prima e ti piange il cuore rivederlo. Attraversi un bel giardino, c’e’ l’orto, lo spazio per i colloqui all’aperto, il campo da calcio e vai all’Ambrogiana, quella ambita da tutti gli internati di Montelupo. La struttura e’ ancora piu’ fatiscente, le pareti scrostate ma almeno e’ piu’ tranquilla, le celle sono da uno, ma spesso diventano da due e sono liberi di girare al suo interno sempre. Una cella presenta un ordine maniacale, appese fotografie e poster sul leone, un bell’animale che anche lui non sta bene in gabbia, verrebbe da pensare. Il signore si sta preparando da mangiare e le tendine, il tappetino e il tavolo ben apparecchiato ti trasportano con il cervello in un altro luogo. Talvolta ammette che per problemi di sovraffollamento e’ costretto ad ospitare un altro detenuto e non e’ detto che sia preciso come lui e quel luogo viene contaminato, profanato. In fondo al primo piano c’e’ un ragazzo che voglio vedere, non so cosa ha fatto, non mi interessa saperlo di nessuno, ma sua mamma mi scrive almeno una email al giorno perche’ e’ preoccupata per la sua salute. Uno dei pochi che ha ancora una famiglia fuori pronta e desiderosa di riprenderselo.
Il 22 dicembre questo era il quadro degli ospiti-internati: presenti 186 persone a fronte di una capienza prevista di circa 110, suddivise nelle varie sezioni: sezione seconda – Ambrogiana – circa 70; nell’altra, costituita dalle ex-stalle della Villa Medicea Torre 52; Arno 37; Pesa circa 30. Eta’ media di 41 anni. La presenza di stranieri e’ di appena il 10%. Per oltre il 70% sono reati contro la persona, il 40% omicidi compiuti per lo piu’ in ambito familiare. Il 40% degli internati e’ stato prosciolto durante il processo, il 30% e’ in attesa di giudizio, gli altri semi-fermi o inviati in osservazione dalle carceri. Risultano lavoranti interni circa 45 ospiti, uno solo in articolo 21 esterno alla struttura.
Gli agenti di polizia penitenziaria risultano essere appena 100, di cui 20 destinati al nucleo “traduzioni”: nel complesso, conteggiati i distaccati, risultano mancanti almeno 20 agenti, rispetto ad un organico che e’ comunque tarato su 110 detenuti. Non va meglio per la parte sanitaria, recentemente non piu’ medicina-penitenziaria, ma facente capo al Sistema sanitario nazionale, dove a essere garantita 24 ore su 24 e’ solamente la guardia medica, perche’ manca lo psichiatra dalle 18 alle 9 e dalle 14 del sabato alle 9 del lunedi’.
Ho scritto una lettera al presidente della Commissione Sanita’ dopo le due visite, a distanza di poche settimane l’una dall’altra. Il degrado umano e lo stato di abbandono terapeutico in cui versano gli Opg in Italia da tempo, rappresenta qualcosa che non puo’ essere oltremodo taciuto e accettato. Sono in totale circa 1200 gli ospiti-detenuti (piu’ tecnicamente “internati”) dei 6 ospedali psichiatrici giudiziari. Nonostante il nome rassicurante di “ospedale” sono veri e propri manicomi criminali, dove l’aspetto della cura e della terapia passa in secondo piano rispetto a quello della detenzione e della sicurezza.
Un meccanismo perverso, che decreta come persone che devono essere curate -e che infatti non vengono neppure condannate, ma prosciolte, cui viene comminata una misura di sicurezza, o che vengono mandate in “cura” dalle carceri- vengono chiuse nelle celle, e sorvegliate dagli agenti penitenziari. Quindi, a seguito di un proscioglimento per incapacita’ di intendere e di volere, o per sopravvenuta incapacita’ durante la carcerazione, si puo’ finire in questo vero e proprio girone dantesco che si configura come un “ergastolo bianco”. Le proroghe di 2, 5 o 10 anni possono ripetersi, infatti, all’infinito, laddove una perizia psichiatrica ravveda gli estremi della pericolosita’ sociale. Percio’ una persona mai condannata per alcun reato si puo’ ritrovare a scontare di fatto un “fine pena mai”.
Grazie alla riforma della medicina penitenziaria, ora di competenza delle Asl, gli Opg possono essere di esclusiva competenza sanitaria, regionalizzati e magari distribuiti in piccole strutture medicalizzate, con sorveglianza e sicurezza solo esterna, mentre accanto ai malati internati dovrebbero esserci medici, infermieri e attività di recupero.
Per Montelupo Fiorentino ho depositato una interrogazione parlamentare al Ministro della Giustizia in merito alle denunce dei pestaggi e del degrado, per la quale attendo risposta. Ma piu’ in generale, dato anche che la materia ora e’ di esclusiva competenza sanitaria, ritengo sia indispensabile che anche le commissioni Sanita’ dei due rami del Parlamento siano al piu’ presto investite della conoscenza, dello studio e di una mobilitazione in termini di proposte legislative sulla situazione degli Opg.
* senatrice Radicali-Pd