Guerra e consumi. Sapere e prepararci

 Circa mezzo secolo fa i Paesi arabi, all’epoca monopolisti sul petrolio, strinsero i rubinetti e il costo del petrolio s’impennò. All’origine c’era la guerra fra Israele ed Egitto, prima quella dei Sei giorni nel ’67, poi quella dello Yom Kippur nel ’73. La guerra c’è sempre di mezzo quando ci sono sconvolgimenti economici come quello in corso oggi con l’invasione russa dell’Ucraina. All’epoca si prese atto che l’errore fu di non aver diversificato i propri fornitori sì da essere pronti ad ogni evenienza, ma è evidente che non ne abbiamo fatto tesoro, visto che oggi siamo punto e da capo, con l‘aggiunta del gas.

I “rimedi” di 50 anni fa
Mezzo secolo fa la chiamavamo “austerity” e vi si pose freno, a partire dal 2 dicembre 1973, con il blocco della circolazione auto la domenica, oscuramento delle insegne dei negozi, chiusura dei pubblici esercizi alle 24, dei cinema, teatri e i due canali Rai che c’erano allora (le tv “libere” non esistevano) terminavano le trasmissioni alle 23; l’illuminazione pubblica fu ridotta del 40%, riscaldamenti in casa e uffici più bassi, limiti di velocità a 100 e 120. Per le strade ricomparvero calessi, in tanti usavano pattini a rotelle e biciclette e l’adesione della popolazione fu ampia, inesistenti le contestazioni. A Natale alcuni alberi pubblici erano alimentati pedalando. Il blocco durò fino ad aprile, poi due mesi di targhe alterne sempre di domenica e a giugno – petrolio tornato – finì tutto.

E’ importante ricordare come “rimediammo” all’epoca perché non è escluso che anche oggi potremmo usare simili “rimedi”… per l’energia, ché oggi ci sono anche aspetti “non energetici”: a differenza di 50 anni fa, la guerra non solo non ce l’avevamo in casa Europa, ma i pericoli di ricadute di conflitti bellici non proprio nel nostro giardino, erano più tenui.

Non sappiamo ancora se dovremo far fronte alla situazione con limitazioni come quelle del 1973/74, ma certamente sappiamo che con i miliardi di euro che ogni giorno paghiamo per il gas, la Russia si finanzia l’invasione dell’Ucraina. Quindi, prima o poi, se non ci sono accordi di pace che blocchino il massacro, dovremo smettere di essere schizofrenici condannando l’invasione e rifornendo la resistenza mentre paghiamo i militari russi.

E non sappiamo se saranno sufficienti limitazioni come nel 1973, visto che non solo nel 2022 consumiamo più energia, ma il nostro rapporto economico con la Russia è molto più articolato che non all’epoca con l’Unione Sovietica.

Aggiungiamo anche un altro aspetto che 50 anni fa era marginale: quello politico/ideologico. L’invasione di oggi ci coinvolge di più, visto che motivo conduttore del putinismo è la lotta alla “occidentalizzazione” politica, culturale, sociale ed economica dell’Ucraina di cui l’Ue e l’Italia sarebbero responsabili (1). Uno di questi aspetti tragici è, per esempio, nel fatto che l’invasione viene giustificata contro il dilagare in Ucraina della cultura e delle pratiche omosessuali.

Noi consumatori e cittadini dobbiamo quindi esser pronti e disponibili a tutto. E’ quella che il premier Mario Draghi ha chiamato economia di guerra, che – oggi e un ipotetico domani peggiore – non comporta l’accaparramento delle merci a cui stiamo assistendo in questi giorni.
Primo perché economicamente – visto che siamo anche in Europa e non in lotta con, per esempio, Francia e Germania, e siamo alleati degli Usa, del Regno Unito, del Canada, dell’Australia, etc – la penuria di merci è e sarebbe inesistente. Secondo perché le eventuali economie di guerra non si affrontano creando difficoltà a coloro che dovrebbero essere dalla stessa parte, ma con diffusa e condivisa collaborazione, in cui la gestione istituzionale di molti aspetti della nostra quotidianità deve avere il sopravvento su ogni individualismo esasperato.. altrimenti “non ci si fa”.

1 – come se, invece, non fosse una libera scelta degli ucraini che hanno votato alla bisogna… ma è è evidente che abbiamo due diverse concezioni e pratiche di democrazia, cultura ed economia.

 
 

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