Giornata mondiale dell’acqua… il giorno dopo
L’acqua intesa complessivamente avvolge la superficie terrestre al settanta per cento circa, 97% della quale è salata, per cui abbiamo una piccola quota rimanente, il tre per cento, di acqua dolce che proviene dai ghiacciai delle nevi perenni, dalle falde sotterranee, dalle acque superficiali…. ma di questo 3% solo l’1% è per uso umano, una quantità estremamente limitata che negli ultimi cinquant’anni si è dimezzata, mentre cresce la domanda globale di acqua dolce da parte della popolazione e aumenta l’uso che ne facciamo.
Due fenomeni in contrapposizione fra loro che creano una serie di problemi, tant’è che le previsioni al 2030 dicono che il numero di persone che vivono in Regioni con gravi carenze idriche saranno quasi quattro miliardi. Questo crea dei conflitti, specialmente nelle zone del Medioriente e del Nordafrica e dell’Africa meridionale, che hanno alti livelli di stress idrico. Ma questo problema coinvolge anche i Paesi più umidi come nel nord Europa. Due anni fa il 74% del continente europeo è stato segnalato in condizioni di allarme o allerta, e questo crea un problema, inclusa l’Italia che non è proprio un Paese a stress idrico come gli africani.
Tenendo presente che la maggior parte dell’acqua, il 70%, è utilizzata in agricoltura, mentre il 20% nell’industria e il 10% per uso sanitario e potabile, la sua mancanza crea problemi per l’alimentazione, per gli allevamenti degli animali in pastorizia.
Qualche soluzione è stata trovata, che non è quella di scavare i pozzi perché poi l’acqua finisce se non piove, ma puntando alla desalinizzazione dell’acqua marina: in tutto il mondo ci sono ventimila dissalatori in 180 Paesi.
Questo accade in modo particolare in quei Paesi a stress idrico come Israele, il cui territorio quarant’anni fa era praticamente desertico, mentre oggi sono autonomi avendo anche attivato il recupero delle acque reflue.
Recupero di acque reflue che in Italia non si fa, avendo anche pochissimi dissalatori, con le condutture che sono dei colabrodi e disperdono oltre il 40% (il 44% a Roma, mentre a Berlino è l’8%), e dove il problema non è fare nuovi acquedotti con relativo utilizzo di molti soldi ma di aggiustare le reti esistenti.
Purtroppo in Italia – governi e amministrazioni che sembra non abbiano il concetto di manutenzione – il metodo non è quello di intervenire quando ci sono dei problemi e questo avrebbe un costo basso, ma aspettare che questi problemi divengano sempre più grossi, manutenzione straordinaria, e quindi si spende di più.
In Italia abbiamo qualcosa come duemila enti gestori e, nonostante i vari referendum su acqua pubblica e acqua privata, è bene ricordare chè l’acqua in Italia è sempre stata pubblica, mentre è la gestione dell’acquedotto che può essere pubblica o privata, e mediamente si tratta di società di gestione a capitale misto. A Roma, per esempio, c’è Acea che il 51% è pubblica e il 49% è privata. Poi ci sono tante piccole aziende comunali con costi molto alti per la dispersione, costi che se non vengono fatti pagare all’utente, gravano poi sul bilancio comunale, con tutte le addizionali possibili e immaginabili per cui alla fine è sempre l’utente che paga. Bisognerebbe fare dei consorzi, ma ognuno vuole invece gestirsi il proprio, in nome di un’autonomia che alla fine è solo ideologia.
Ci sono delle aree, per esempio nel Lazio, dove i Comuni prelevano l’acqua da laghi che sono inquinati e che potrebbero essere utilizzati solo per uso cosiddetto sanitario (farsi la doccia, per capire) ma non per bere.
L’Aduc in merito ha fatto una battaglia che è durata 11 anni fino alla Cassazione: abbiamo denunciato alcuni Comuni che prelevavano l’acqua dal lago di Vico (zona di Viterbo) facendola pagare come potabile, e alla fine la giustizia ci ha dato ragione.
IL GIORNO DOPO LA GIORNATA MONDIALE DELL’ACQUA
Il 22 marzo è stata la giornata mondiale dell’acqua, con varie iniziative ad ogni livello, ma il giorno dopo ce ne siamo già dimenticati. Ci sono i soldi del Pnrr, per esempio, che servono anche per far arrivare l’acqua potabile nelle case, ma noi siamo il secondo Paese al mondo per il consumo di acqua minerale in bottiglie di plastica perché non ci fidiamo dell’acqua che esce dal rubinetto. In alcuni casi eclatanti di inquinamento dovuto alle industrie che hanno inquinato le falde acquifere, per esempio Veneto e Piemonte, l’acqua veniva immessa nelle condotte come potabile. A Roma c’è un acquedotto sul quale si è costruito un quartiere, quando invece la fonte dovrebbe essere distante qualche chilometro dalle abitazioni; e sono dovuti intervenire successivamente per rendere le fognature impermeabili e con una tecniche più impegnative e raffinate, con costi elevatissimi, per le condotte di acqua potabile, tutt’oggi venduta.
LE POSSIBILI SOLUZIONI
A giugno dello scorso anno Aduc ha partecipato come relatrice ad un convegno organizzato dalla Fondazione Pannella su “Cambiamenti climatici, acqua, siccità, desalinizzazione, recupero acque e irrigazione”, sul problema dell’acqua a livello mondiale: guerre, scontri e possibili soluzioni. Vi ha partecipato un’azienda agricola pugliese che utilizza tecniche ottimali israeliane, e un’azienda veneta di recupero delle acque reflue sempre con tecnologia israeliana, e con la presenza anche di un rappresentante dell’ambasciata di Israele in Italia. Sono state spiegate le tecniche tipiche utilizzate nei deserti israeliani che, nel nostro territorio, hanno un uso che consentirebbe maggiore risparmio di acqua e di soldi.
Qui l’intero convegno
Qui l’intervista a Radio Radicale da cui è tratto questo articolo
l’associazione non percepisce ed è contraria ai finanziamenti pubblici (anche il 5 per mille)
La sua forza economica sono iscrizioni e contributi donati da chi la ritiene utile
DONA ORA