Gb, madri processate per aver aiutato i figli malati a morire

“Il verdetto sul caso Gilderdale dimostra ancora una volta come la legge sia inadeguata”. Lo scrive il quotidiano Guardian a commento della sentenza di assoluzione dall’accusa di omicidio di Bridget Kathleen Gilderdale, la madre processata per il ruolo svolto nella morte della figlia Lynn, 31 anni, per 15 anni paralizzata e costretta a letto per colpa di una rara malattia, l’encefalopatia mialgica.
Gilderdale si era dichiarata colpevole di assistenza al suicidio, un reato previsto dal Suicide Act del 1961 e punibile con 14 anni di carcere. I giudici hanno applicato la sanzione più lieve, dodici mesi, ed hanno sospeso la pena. Gilgerdale ha quindi evitato il carcere.
Meno fortunata un’altra madre, Frances Inglis, condannata la settimana precedente all’ergastolo per aver iniettato al figlio malato una dose letale di eroina -una sentenza che molti osservatori e esperti hanno giudicato come estrema, vista l’intenzione della madre di alleviare le tremende sofferenze del figlio.
Questi due casi, scrive il Guardian, mettono in luce la confusione in cui versa il sistema giudiziario a causa di leggi antiquate, incapaci di affrontare il fine vita nell’era dell’ipermedicalizzazione. Per il quotidiano però, una differenza tra i due casi c’e’, anche se non giustifica sentenze così diverse. Contrariamente al figlio di Inglis, che non aveva mai espresso la volontà di morire, la figlia di Gilderdale aveva tentato il suicidio ed aveva anche redatto delle dichiarazioni anticipate di trattamento o testamento biologico.
Sono in molti a chiedere linee guida chiare per i procuratori britannici nel perseguire coloro che fanno assistenza al suicidio. “La legge deve proteggere le persone potenzialmente vulnerabili punendo con severità comportamenti interessati e irresponsabili, ma deve anche essere sufficientemente flessibile e mostrare pietà quando la motivazione è chiaramente compassionevole”, dice Sarah Wootton, presidente dell’associazione Dignity in Dying.
Ed è proprio per questo che la Corte suprema ha ordinato al capo dei procuratori britannici di emanare linee guida chiare a seguito dell’istanza promossa da Debby Purdy. Purdy aveva chiesto alla corte se il marito sarebbe stato o meno perseguito penalmente ove l’avesse accompagnata in Svizzera a togliersi la vita presso la clinica di assistenza al suicidio Dignitas. Il capo dei procuratori, Keir Starmer, ha emanato le sue linee guida lo scorso anno e le ha sottoposte ad un periodo di pubblico dibattito. L’emanazione finale avverra’ entro marzo.
Il quotidiano Telegraph riporta che già nel caso di Gilderdale sono state applicate le nuove linee guida. “La decisione di incriminare Gilderdale fu presa prima della pubblicazione delle linee guida”, spiega al Telegraph Simon Clements, capo del dipartimento Special crime del Crown Prosecution Service (Cps). “Quando le linee guida sono entrate in vigore, il procuratore incaricato si era chiesto se si dovessero già attuare in questo caso, ma aveva poi deciso di ignorarle”.
Nonostante questo, il giudice, scrive il Telegraph, ha chiaramente fatto riferimento alle linee guida nel sospendere la pena, sospensione che ha permesso a Gilderdale di rimanere in libertà.
Interpellato sul caso Inglis, Clements ha fatto notare un’altra differenza di non poco conto fra i due casi, almeno dal punto di vista prettamente giuridico. “Il nostro ordinamento non dà spazio all’omicidio per compassione (mercy killing)”, ha detto Clements, facendo riferimento al fatto che Inglis ha materialmente iniettato la sostanza letale al figlio.