Francia. Dibattito sul tema dell’eutanasia
Erano piu’ di cento tra medici, infermieri e paramedici a discutere di eutanasia, il 2 marzo, in un cinema di Saint-Astier (Dordogna). Incontro organizzato a sostegno della dottoressa Laurence Tramois e dell’infermiera Chantal Chanel, rinviate a giudizio (in Corte d’Assise) per aver aiutato una paziente a morire. Il caso risale a due anni fa.
La storia. La signora M. ha un cancro, diagnosticato tre anni e mezzo prima. A 68 anni, di punto in bianco, rifiuta qualsiasi trattamento. La dottoressa Tramois e’ il medico di famiglia da quindici anni, oltre a lei, ha in cura il suo compagno, la figlia, suo genero e la nipotina. Le spiega che cos’e’ il cancro, i rischi che corre. La malata perde l’appetito, soffre di nausea, ma continua a rifiutare le cure. La dottoressa la visita sempre da sola in camera sua, i familiari la incalzano perche’ faccia qualcosa. Alla fine madame M. le dice: “Non ne posso piu’, e’ il momento, mi aiuti, voglio morire qui, nel mio letto”. La dottoressa le aumenta la dose di morfina e la visita ogni giorno. “Voglio andarmene veramente, mi aiuti, ho fiducia in lei”. A quel punto le prepara una mistura letale e madame M. si spegne dolcemente.
Ma la famiglia non ha mai compreso ne’ accettato.
All’incontro e’ presente anche il dottor Frederic Chaussoy, reduce dal caso Humbert (un malato gravissimo che voleva morire e alla fine e’ stato esaudito da sua madre e dal dottor Chaussoy, clicca qui). Spiega di non essere un militante dell’eutanasia, ma che considera estremamente ingiusto che le due donne vengano giudicate alla stregua di uno stupratore o di un assassino solo per aver svolto con umanita’ il proprio lavoro.
Un’infermiera racconta: “In questo momento mi occupo di una paziente con un finale di vita molto difficile, un Alzheimer allo stadio terminale. Ho difficolta’ ad ottenere la morfina per alleviarle il dolore. Quando vado da lei, ogni due giorni, per rifarle la medicazione, mi sembra di leggerle negli occhi, malgrado l’Alzheimer, un grido: “Vattene, mi farai ancora del male!”. Non capisco come si faccia soffrire la gente in questo modo”.
Un medico generico racconta di essersi misurato molto spesso con la richiesta d’eutanasia nei suoi vent’anni di professione. All’inizio cercava di rispondere da solo, e in alcuni momenti sono state esperienze dolorose. Poi le cose sono migliorate perche’ non era piu’ solo ad affrontare il problema, ma coinvolgeva sempre il personale curante, il malato, i suoi familiari. Secondo lui, quando si scava e si chiedono spiegazioni, ci si rende conto che raramente l’eutanasia e’ la richiesta primordiale. Una tesi condivisa da un medico di cure palliative. “Mi e’ successo anche ieri sera. Un signore con un cancro generalizzato mi chiede di aiutarlo a partire. Gli propongo una sedazione per dargli sollievo. Cio’ ha permesso alla figlia di venire da Lione ad abbracciarlo. L’ho osservato stasera. Ero contento che non fosse morto. E anche lui, credo”.
Dilemmi etici e morali, valutati da ciascuno caso per caso. Per Laurence Tramois non e’ una questione di bene o di male, ma di sapere se ha un senso quello che si fa. E sembra non attendersi troppo dalla legge. “La medicina non sara’ mai ridotta a tecnicismo o a qualcosa che si puo’ inquadrare in un testo di legge. Non so come se ne esce, non e’ possibile”. Il dottor Chaussoy interviene: “Bisogna lasciare la responsabilita’ al medico curante, al rapporto di fiducia tra paziente e medico. In un aereo non si va a verificare quello che fa il pilota”. Ma resta l’angoscia di non essere tutelati nella propria decisione. Come per Laurence Tramois. “Ultimamente ho ricevuto una decina di lettere di colleghi che mi raccontano di essersi confrontati con dei fine vita difficili e che si erano assunti le loro responsabilita’ tre o quattro volte. Cio’ significa che mi ci potrei ritrovare ancora? E come reagirei? Puo’ darsi che quel giorno rinuncerei, avendone passate gia’ troppe. O forse lo rifarei perche’ non sono diventata medico per accettare queste cose. Ma se dovesse capitare, non vorrei farlo di nascosto, come una miscredente, come un’appestata. Vorrei che le cose fossero chiarite, stabilite”.