Fine vita. Verso la nuova legge francese
Con la legge Leonetti-Claeys del 2016 sul fine vita, il legislatore aveva lasciato un po’ di confusione su questa novita’ che riguardava “la sedazione profonda e continua mantenuta fino al decesso”. Manifestamente, la Haute Autorité de santé (HAS) ha voluto levarlo. Rese pubbliche oggi, le sue raccomandazioni portano ad una visione restrittiva di questo progresso, creando una stretta frontiera tra la cosiddetta sedazione che porta a far dormire e l’eutanasia che porta a provocare il decesso.
Ma e’ possibile? C’e’ veramente un limite? Un fine vita farmacologico e’ spesso complesso, difficile. Puo’ anche essere incerto, ne’ sempre molto chiaro, ne’ sempre ben comprensibile. In ogni caso, questo non e’ niente di naturale, e tra il “lasciar morire” e “il far morire”, le frontiere sono tenui..Esempio: quando si ferma un trattamento o un respiratore artificiale accompagnandolo con un forte sedativo, ha a che fare o no con il “far morire? Anche il mondo delle cure palliative ne e’ coinvolto, sapendo che cio’ che si fa in questo ambito non e’ sempre molto efficace. Un buon numero di esperti, come l’ex-presidente del Comitato consultivo nazionale di etica, il professor Didier Sicard, lo riconosceva ugualmente e si mostrava favorevole ad una ampia veduta della sedazione. In quanto ai due autori della legge, Jean Leonetti e Alain Claeys, sostengono che questa sedazione era un metodo non proprio consono ma reale per rispondere a certe domande di eutanasia. “Bisogna lasciare un po’ di spazio a chi ci lavora”, spiegava a suo tempo Claeys.
Di fatto, cosa dice la legge? Questa sedazione, cioe’ far dormire una persona fino alla perdita completa di conoscenza, puo’ essere utilizzata su un paziente “colpito da una malattia grave e incurabile, che chiede di evitare ogni sofferenza e di non subire accanimenti irragionevoli”. Questo e’ possibile nelle seguenti situazioni: “se e’ in corso una sofferenza refrattaria ai trattamenti e che la prognosi vitale prevede un termine a breve. E una seconda situazione, se il paziente decide di bloccare un trattamento e che questa decisione riguarda la sua prognosi vitale a breve termine e che e’ in grado di bloccare una insopportabile sofferenza”. In questi due casi si puo’ quindi chiedere una sedazione fino alla morte, e il medico non puo’ rifiutargliela. Se il paziente non e’ cosciente, sta al medico fare la scelta.
Tuttavia, non tutto è sistemato perché in questo caso le parole possono essere interpretate. La HAS ha scelto una posizione di chiusura. Che e’ qui in questa affermazione: “Una sedazione profonda e continua mantenuta fino al decesso e’ una risposta alla sofferenza refrattaria: essa non e’ ne’ eutanasia, ne’ una risposta ad una domanda di eutanasia”. Propositi ben definiti. E dopo? Per averne diritto, c’e’ quasi un percorso di guerra: se la persona e’ cosciente, tocca al paziente decidere, ma “il medico deve assicurarsi della sua vera volonta’”, chiedere eventualmente un’opinione a degli psichiatri, fargli presente le differenti possibiita’, compresa quella di una sedazione limitata con possibilita’ di risveglio, e sicuramente una procedura collegiale deve essere seguita prima di intraprenderla. In breve, merita.
Visione restrittiva
Seconda limitazione forte che viene raccomandata dalla HAS: la prognosi del paziente deve in effetti essere intrapresa a breve termine per poterne beneficiare, dice la legge. Ma cosa vuol dire il breve termine? Qualche ora? Qualche giorno? Qualche settimana? Questa incertezza legislativa permette di far fronte a differenti situazioni. Risposta secca della HAS: “Una profonda e continua sedazione mantenuta fino al decesso non puo’ essere avviata se non quando il decesso e’ vicino, atteso in poche ore o nei giorni a seguire”. E ricorda, di nuovo: “Se il decesso e’ atteso con un tempo maggiore a qualche giorno e i sintomi sono refrattari, una sedazione reversibile e profonda proporzionale al bisogno di sollievo e’ discussa col paziente”.
Per l’HAS, il breve termine si limita dunque a qualche giorno. Cosa che, di fatto, limita ancora nettamente l’uso possibile della sedazione. Infine, “la SPCMD puo’ essere realizzata in un centro ospedaliero, ma ugualmente a domicilio o in un centro di ricovero per persone anziane non autosufficienti, compreso il caso di un medico che ha in carico un paziente sufficientemente disponibile che si sente isolato sul suo territorio. Ogni situazione e’ particolare e complessa”. Certo, ma attualmente, i farmaci per questa sedazione non sono disponibili se non per alcuni settori marginali degli interventi ospedalieri.
Alla fine, quindi, quella avanzata dalla HAS e’ una visione restrittiva di questo proponimento legislativo. Non è sicuro che mettendo così tante protezioni e vincoli sulla sua applicazione, la HAS non ottenga l’effetto inverso, cioe’ rilanciare il dibattito sulla necessita’ di una nuova legge sul fine vita in termini medici.
(Articolo di Eric Favereau, pubblicato sul quotidiano Libération del 15/03/2018)