Eutanasia. In Appello il caso Bonnemaison

 Dopo la sentenza del 25 giugno 2014 a favore di Nicolas Bonnemaison, si e’ aperto un confronto in seno alla Procura generale della Corte d’Appello di Pau. Fare o non fare appello? Dopo due settimane di un processo eccezionale che si era tenuto davanti alla Corte d’Assiste dei Pyrénées-Atlantiques.
Questa Corte aveva giudicato un uomo, ex-medico d’urgenza dell’ospedale di Bayonne, accusato di aver “volontariamente attentato alla vita” di sette dei suoi pazienti “con l’uso o la somministrazione di sostanze che inducevano alla morte”, con la circostanza aggravante che questi fatti erano stati commessi su delle persone “particolarmente vulnerabili in virtu’ del loro stato psichico o mentale”. Ma questa vicenda aveva tirato in ballo in modo solenne e contraddittorio tutte le questioni che sono “la vita che non riesce mai a finire”, secondo la formula del deputato Jean Leonetti, citato insieme ad altre decine di esperti durante il giudizio.
Chiedere l’applicazione della legge esistente
I rappresentanti dell’accusa hanno dovuto prendere atto della volonta’ espressa dai giurati popolari, e trasmettere al legislatore il loro messaggio a favore di una evoluzione della legge sul fine vita? O dovevano resistere fino alla fine della loro missione, che e’ quella di chiedere l’applicazione della legge esistente, anche se la stessa aveva mostrato dei limiti e era in corso di modifica? Essi hanno ritenuto valida la seconda opzione e il processo d’Appello a Nicolas Bonnemaison si apre oggi 12 ottobre davanti alla Corte d’Assise di Maine-et-Loire a Angers.
La scelta di questi giudici non e’ una possibilita’. Ma risponde alla volonta’ di sbollire il piccolo clima passionale nel quale si e’ svolto il primo processo. Nove uomini e donne scelti a estrazione e tre magistrati saranno quindi incaricati di dire la loro su questa questione esplosa nel 2011 con la trasmissione in Procura di una rapporto che presentava la situazione dell’ospedale di Bayonne, dove, grazie alle testimonianze di infermieri e di volontari, il dottor Bonnemaison aveva messo in atto delle “eutanasie attive”.
Informare le famiglie
Durante la fase istruttoria, e poi in udienza, Nicola Bonnemaison ha riconosciuto di aver iniettato ai suoi sette pazienti in fin di vita dei prodotti letali -Hypnovel e Mercuron- senza mai informare le famiglie e il personale di cura, anche se queste due condizioni sono richieste dalla legge Leonetti del 2005. “E’ una parte della legge con cui io sono in difficolta’ -aveva detto il medico davanti alla Corte d’Assise-. Io ho la responsabilita’ di trasferire le mie responsabilita’ di medico sulla famiglia. Decidere sulla sedazione, e’ accorciare la vita. Non di decidere su di essa, cioe’ significa prolungare la sofferenza. Questa decisione, in un senso come in un altro, e’ fonte di colpevolezza per la famiglia”.
Solo due famiglie come parte civile
Rispetto alla visione dell’accusato, che rivendicava di aver commesso un atto per “alleviare la sofferenza”, l’avvocato generale Marc Mariée ne aveva opposta un’altra: “Noi non siamo qui per dire se la legge Leonetti e’ insufficiente o imperfetta. Noi siamo nel diritto comune. Quello che, secondo il codice penale, dice che e’ vietato uccidere”. Pur valutando che l’ex-medico d’urgenza aveva “agito da medico, ma da medico che si e’ sbagliato”, l’avvocato generale aveva chiesto contro di lui cinque anni di prigione con sospensione. Non aveva chiesto alla Corte di sentenziarlo con un divieto all’esercizio della professione. Ma i consiglieri dell’ordine professionale sono stati piu’ severi, radiandolo ad agosto del 2014, una decisione confermata dal Consiglio di Stato. Un ricorso contro questa radiazione e’ stato poi presentato alla Corte europea dei diritti umani.
Ad Angers, come a Pau, solo due famiglie di pazienti si sono costituite parti civili. Il silenzio o il sostegno dimostrato dagli altri fanno eco alla questione posta dagli avvocati della difesa, Mes Arnaud Dupin e Benoit Ducos-Ader, che hanno posto ai giurati, e anche oltre loro, a tutti quelli che si confrontano con l’agonia di una persona vicina: “E’ questa una morte? E’ una cura?”. Essi fanno anche riferimento alla solitudine del medico, senza precisarne il senso: “Fate una scelta, dottore, perche’ lui possa non soffrire”. 

(articolo di Pascale Robert-Diard pubblicato sul quotidiano Le Monde del 12/10/2015)