Elefanti africani. L’inesorabile declino

 L’elefante africano e’ in pericolo di morte. E’ con questa tragica constatazione che si e’ aperta lo scorso 1 settembre alle Hawaii, il Congresso Mondiale della Natura, organizzato dall’Unione Internazionale per la conservazione della natura (IUCN). Prima di questi dieci giorni di lavori, due studi, resi pubblici alla vigilia, tracciano un sommario quadro dello stato della popolazione di elefanti della savana (Loxodonta africana) e dei loro cugini della foresta (Loxodonta cyclotis), le due specie presenti sul continente.
Un recente censimento di inedita grandezza, The Great Elephant Census fa sapere che il numero dei pachidermi che vivono nella savana africana e’ calato del 30% tra il 2007 e il 2014. E questo declino e’ in aumento, attestandosi ormai ad un ritmo dell’8% all’anno.
Questa indagine di 7 milioni di dollari (6,3 milioni di euro), finanziata dal co-fondatore della Microsoft e mecenate Paul Allen, ha mobilitato un centinaio di scienziati, con la partecipazione di diverse ONG. E’ stata realizzata nel corso di due anni, con l’aiuto di osservazioni aeree, attraverso aerei o elicotteri di diciotto Paesi, riuscendo ad entrare in contatto con quasi il 90% degli elefanti della savana di tutto il continente.
Le conclusioni sono travolgenti. Nel momento in cui, secondo i ricercatori, l’Africa ha potuto contare su piu’ di 20 milioni di elefanti prima della colonizzazione europea, e che il loro numero stimato era ancora di 1 milione negli anni 1970, oggi non ne restano che un terzo. La loro ripartizione e’ diseguale. Da soli, il Botswana, lo Zimbabwe e la Tanzania accolgono i tre quarti della specie. Ma la tendenza demografica e’ al ribasso nella maggior parte del continente, con l’eccezione di qualche Paese in cui si e’ stabilizzata (come in Kenya) o migliora (come in Uganda nell’est, o in Benin, Burkina Faso e Niger nell’ovest).
Il traffico di avorio ha ripreso con piu’ vigore
L’aspetto piu’ inquietante e’ che la situazione non ha smesso di degradarsi in questi ultimi anni. Pertanto, la specie, decimata nei decenni 1970 e 1980, ha cominciato a ricostituirsi in alcune regioni, dopo il divieto, nel 1989, del commercio internazionale d’avorio. Questa ricrescita e’ terminata.
Le cause di questo rinculo sono conosciute. Si tratta, in particolare, del bracconaggio dei pachidermi, abbattuto per le loro zanne d’avorio. Questo traffico ha ripreso con piu’ vigore. Nel 2008, il comitato permanente della Convenzione sul commercio internazionale delle specie e fauna e di flora selvatici minacciati di estinzione (Cites) ha autorizzato la vendita alla Cina di uno stock di 108 tonnellate di avorio proveniente da quattro Paesi dell’Africa australe. “Questo segnale, aggiunto all’emergenza di una classe media di cinesi con un forte potere d’acquisto, ha consentito l’ingresso delle reti criminali di esportazione d’avorio, di cui la Cina e’ il principale mercato”, dice Céline Sissler-Bienvenu, direttrice per la Francia e l’Africa francofona del Fondo Internazionale per la Protezione degli Animali (IFAW
L’avorio, siccome non e’ dotato di pretese virtu’ medicinali che alimentano il traffico dei corni di rinoceronte, costituisce, per i nuovi ricchi cinesi, un segno di riuscita sociale, sia che lo trasformino per decorazioni, secchi o bacchette. E’ un mercato molto succoso, il chilo di avorio viene negoziato intorno ai 1.000 euro. Ora, deplora Céline Sissler-Bienvenu, la lotta contro “il traffico di specie selvagge non e’ mai stata una priorita’ per i governi, sia quelli occidentali che asiatici o africani”. L’indagine svolta mostra che si trovano talvolta delle carcasse di elefante sia nelle zone in cui gli stessi dovrebbero essere protetti che in altre, e questo a significare che parchi o riserve non impediscono il loro abbattimento.
Futuro precario
Ma il bracconaggio non e’ il solo problema di cui soffrono gli elefanti. Patiscono anche per la perdita dei loro habitat naturali, a fronte dell’espansione dei villaggi, delle attivita’ agricole, fonti di “tensione” tra l’uomo e l’animale. “Questi conflitti sono piu’ difficili da regolamentare, perche’ mettono in gioco le politiche di sfruttamento del territorio”, nota la direttrice dell’IFAW.
E gli elefanti della foresta? Nascosti dalle chiome degli alberi, non sono stati repertoriati dai voli aerei. Ma loro sorte non e’ da meno invidiabile. Uno studio, pubblicato nel 2013 dalla rivista PlosOne, stimava che la loro presenza nelle foreste dell’Africa centrale (Camerun, Congo, Gabon o Repubblica Centrafricana) era fortemente diminuita di oltre il 60% in dieci anni. La loro popolazione, di 500.000 individui nel 1993, e’ caduta a meno di 100.000 venti anni dopo.
Un nuovo studio pubblicato nel Journal of Applied Ecology lo scorso 31 agosto, preconizza un avvenire particolarmente precario per questi elefanti -piu’ piccoli dei loro cugini della savana ma massacrati anch’essi per il loro avorio-, fino ad allora poco studiati. Sembra che essi si riproducano ad un ritmo molto piu’ lento rispetto a quelli della savana: le femmine partoriscono per la prima volta all’eta’ media di 23 ani (invece dei 12 dei loro cugini), e un intervallo di cinque/sei anni separa una nascita da un’altra (rispetto ai tre/quattro di quelle della savana).
Sia chiaro che, anche se e’ stata messa la parola fine al bracconaggio, ci vorra’ circa un secolo (precisamente 81 anni secondo i calcoli dei ricercatori) perche’ si possa tornare ad una popolazione come quella degli anni 2000.
Ma non e’ purtroppo l’elefante dell’Asia (Elephas maximus) che salvera’ questo animale emblematico. Di questa specie -differente da quella dell’Africa- ne vivono circa 40.000 individui. Se essi sono meno ricercati per il loro avorio, solo i maschi sono privi di difese, essi sono catturati per effettuare molteplici funzioni, soprattutto nelle zone forestali. In Africa o in Asia, puo’ l’elefante ancora essere salvato?

(articolo di Pierre Le Hir, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 04/0972016)