Droghe in Italia e riduzione del danno. Assenza di politiche istituzionali

Nel corso degli ultimi 20 anni, i legislatori internazionali * (es. Agenda 30 in sede ONU) e Comunitari **, hanno chiarito come l’enorme problema “droghe” non sia da trattarsi solo da un punto di vista criminale – se non criminogeno – ma che occorra prima di tutto far salva la salute dei propri cittadini, con ogni mezzo che funzioni a ridurre a loro – e conseguentemente a tutta la società – i danni ed i rischi provocati dal consumo  di sostanze stupefacenti che, nonostante gli sforzi, permane.

Sarà sufficiente consultare i report e le relazioni annuali messe a disposizione sui siti istituzionali degli organi comunitari *** (in particolare il Sito di EMCDDA, l’Osservatorio europeo competente, ma anche il Sito del Consiglio dell’Unione Europea) per comprendere la mole degli studi multidisciplinari che si spendono per ideare e testare soluzioni ed percorsi di LdD/RdD (Limitazione e Riduzione del danno), stante la notevole complessità del fenomeno, con l’esclusivo target della tutela della persona consumatrice, della centralità della sua salute, del suo bisogno terapeutico, della sua dignità anche se consuma, e anche laddove decidesse di continuare a farlo. Approccio multidisciplinare e tecnico di accompagnamento senza pregiudizio, senza giudizio e con approccio umano e medico, fondato su dati ed evidenze scientifiche.

Tale atteggiamento non giudicante e de-ideologizzato è tuttavia indigeribile, reso tale dall’ottusità proibizionista del legislatore italiano ed è il motivo per il quale, l’Italia è ferma, delle ormai lontane Conferenze di Napoli 1997 e di Genova 2000, quando la crudeltà dell’eroina apriva finalmente gli occhi al Ministero della Salute** *sull’emergenza di approcci nuovi salvavita per contrastare HIV e malattie infettive, sull’uso del metadone, su forme condivise di consumo che garantissero siringhe sterili e quant’altro.
L’Italia ha, da decenni, abdicato alle sue funzioni in materia di riduzione del danno e del rischio.

Pur essendo, infatti, questi servizi entrati nominalmente a far parte  dei veri e propri diritti socio-sanitari e come tale esigibili dal cittadino dal 2017 (Livello Essenziale di Assistenza), è stata ormai bandita la parola stessa “riduzione del danno” (concetto riferito ad un insieme di politiche, prassi, iniziative, servizi più o meno informali volte ad accompagnare l’assuntore occasionale o cronico).  Locuzione che non è neppure citata nelle ultime relazioni del Dipartimento Politiche Antidroga del Ministero al Parlamento **** .
E del resto, averlo introdotto come LEA, nei fatti poco cambia: mancando gli atti di indirizzo generale non è al momento possibile una valutazione dell’operato italiano in materia.

  Le rare esperienze di servizi di riduzione del danno sono tutte appannaggio della pioneristica iniziativa di qualche privato o di qualche Regione o Città virtuosa, che  si fanno spazio a fatica, tra le maglie socio-sanitarie nella cornice ideologica e legale repressiva nazionale.
Alla base delle politiche di RdD alberga una gerarchia dei valori in gioco molto chiara ed inequivocabile: prima di tutto accompagnare la persona, qualsiasi scelta compia, aiutarla, sostenerla, proteggerla anche nell’ambito delle scelte socialmente non condivise ma che incidono in primis nella sua vita, scelte pur si è tentato di prevenire (con programmi di dissuasione, o con leggi punitive). 

L’abc di ogni servizio di riduzione del danno e dei rischi è dunque l’atteggiamento non giudicante di accoglienza, di non criminalizzazione, dell’informalità dell’aggancio del consumatore (cd servizi a bassa soglia, drop-in), “andando incontro” e raggiungendolo lì dove si prevede l’utilizzo di sostanze. Insomma, un approccio da Open Arms, per intendersi, che punta a salvare vite umane, a prescindere ed al di là dalle circostanze di legalità delle circostanze di chi si trova in mare.
Nel nostro dibattito sulle droghe, culturalmente povero e fatto di ideologici spot, di scarsa informazione, di paure ed ammonimenti, di avversione per le evidenze scientifiche laddove contrarie al divieto (si faccia anche solo per curiosità un ingrato confronto sui contenuti veicolati da parte della DPA e su quelli dell’Osservatorio UE su richiamato), non si vedono ad oggi spiragli di umanità nel sistema istituzionale, aperture indirizzate a chi si trova o sceglie di assumere una qualsiasi sostanza stupefacente, essendo i servizi territoriali, per come ideati e voluti – Serd, diurni, semiresidenziali, residenziali- interamente incentrati al riguardo sulla cura a medio lungo termine finalizzata all’estirpazione del consumo, senza se e senza ma. 
Manca cioè quella non-giudicante e pragmatica tolleranza verso il consumatore (sia tossico od occasionale) che spinge a dare sostegno informativo (ad esempio con i test o la gestione dell’autosomministrazione), o strumenti conoscitivi che lo riparino dai rischi delle distinte modalità di consumo, di multiconsumo, di interazione con altre sostanze o farmaci, in concomitanza di patologie pregresse ecc….
Le ultime politiche nazionali sulle droghe? Le normative anti-rave (che hanno ovviamente lo scopo di evitare aggregazioni di consumo a scopi ludici), e la recente criminalizzazione dell’ayauasca, fatta, come noto per scopi religiosi, tradizionali e culturali in setting che turbano ben poco l’ordine pubblico, ed ancor meno, stando alle ricerche ed alle evidenze, la salute degli assuntori. 

Escludere dall’aiuto e dalle politiche di riduzione del danno e del rischio la maggioranza dei consumatori che entrano in contatto con le sostanze proibite. Aiutarli  sarebbe digerire l’indigeribile: una normalizzazione contraria al principio che informa tutta la legislazione e le attuali politiche sulle droghe. Al centro delle politiche non vi è la persona comune, non vi sono il 30% ad esempio della popolazione scolastica che si stima consumare abitualmente sostanze tabellate, ma solo la persona che entra in programmi istituiti per le situazioni più gravi, pentendosi, riabilitandosi, rinnegando.
Tutto il resto dei cittadini che consumano, fetta ampia della popolazione poiché si stima il che 70% dei consumatori di sostanze non venga mai censito dagli attuali Servizi, che s’arrangi! Mal voluto non è mai troppo.   Il sistema legislativo e socio-sanitario, infatti, aiuta il consumatore – persino chiudendo il suo occhio sanzionatore se del caso – ma solo ed in quanto decida di cessare (redimersi) e, in senso tecnico rieducativo, “rinnegare” l’assunzione tout court di tutte le sostanze tabellate.

NOTE
* In materia di droghe l’UE ha svolto e svolge, però, un decisivo ruolo di coordinamento strategico per orientare le scelte dei legislatori nazionali, affinché basino la propria azione, oltre che sul contrasto coordinato dell’offerta delle sostanze incriminate, anche sulla corretta gestione della sua domanda, mettendo in atto politiche di prevenzione e riduzione del danno efficaci  basate su dati ed evidenze scientifiche (evidence based). Tuttavia le decisioni in materia di droghe spettano agli Stati membri, che comunque sono vincolati al quadro legale degli accordi internazionali. 

** …Sebbene alcune risposte alla riduzione del danno rimangano controverse in alcuni paesi europei, il concetto generale secondo cui le misure basate sull’evidenza per ridurre il danno sono una componente importante di politiche equilibrate sulla droga è ampiamente accettato. I contesti in cui operano i servizi di riduzione del danno, la base di prove che li supporta e ciò che costituisce gli standard per la qualità dell’assistenza in quest’area rimangono quindi aree chiave per la considerazione politica. Guardando al futuro, l’evoluzione delle minacce alla salute derivanti dai mercati dinamici delle droghe illecite in Europa evidenzia la crescente necessità di valutare modelli nuovi ed in evoluzione di fornitura di servizi che potrebbero essere necessari per proteggere la salute delle persone a rischio di esiti avversi derivanti da modelli di consumo più complessi, sostanze e miscele nuove o associate a particolari sottogruppi o contesti….” (Estratto dall’Ultima relazione Annuale del  EMCDDA)

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**** Linee Guida sulla riduzione del Danno Ministero della Salute, Novembre 2000
 

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