Droga e prevenzione: l’inutilita’ degli spot e l’utilita’ dei limiti
Fatico a stabilire quale sia l’aspetto più ridicolo del nuovo spot antidroga ideato dagli ottusi Crociati capitanati dal povero Giovanardi, illuminato nella sua missione dalla “scientificità” di Serpelloni (il medico-scrittore-compositore-pittore) e dall’utopia senza via d’uscita di San Patrignano (che non necessita di presentazioni).
Forse è che si riferisce ad un astratto concetto di “droga”, evidentemente poco chiaro agli ideatori stessi, senza considerare che la causa più frequente di devastazione cerebrale è l’abuso del legalissimo alcol.
O forse è il fatto che la retorica del “cervello bucato” non solo è tanto antica quanto inefficace (qualcuno forse ha ancora dei dubbi sul fatto che “la droga fa male”? Il consumo di droghe è forse diminuito?), ma anche imprecisa. Perché le droghe sono tante, e tra le varie e gravi controindicazioni causate all’abuso (ABUSO: non uso), non necessariamente compare il danno cerebrale (presente invece in diversi e legalissimi psicofarmaci); l’idea del “cervello bucato” ha avuto una certa fortuna associato ai danni dell’ecstasy, ma è stata accantonata nel momento in cui ci si è resi conto che non è necessariamente vero, e soprattutto che la tecnologia dello “scanning cerebrale”, usata per dimostrarla, è nuova e controversa: quelle macchie colorate che Serpelloni indica come “buchi nel cervello” (ogni macchia corrisponderebbe al 5% in meno di sostanza cerebrale!) in realtà non si sa bene cosa siano, e la maggior parte dei milioni di persone che hanno usato regolarmente ecstasy durante il boom degli anni ’90 sono vive, vegete e capaci di intendere e di volere. Ad oggi, l’ecstasy è considerata una sostanza meno pericolosa dell’alcol.
Ma forse, a ben vedere, l’aspetto più ridicolo è un altro.
Ammettiamo anche che tutto quello che sottintende e afferma lo spot sia vero: la droga, qualunque droga (tranne l’alcol, di cui Giovanardi è appassionato consumatore), anche se usata una sola volta, distrugge, ammazza, avvelena.
Anche i più ottusi proibizionisti non possono evitare di ammettere che se la droga viene usata, una ragione ci sarà. Anche i più feroci sostenitori della Guerra alla Droga sanno che oggi le sostanze si consumano (prevalentemente) per raggiungere migliori prestazioni sia in ambito ricreativo che lavorativo: non ci vuole molto ad arrivarci, dato che, tolta la polivalente cannabis, a farla da padrone sono proprio gli stimolanti e le sostanze prestazionali in genere.
Allora, che senso ha fare uno spot così, quando quello in onda appena prima invita a rincorrere la forma fisica perfetta “ammuccandosi” pastiglie “naturali”, quello seguente presenta come indispensabile il superfluo, e quello ancora dopo ti dice che se ti ingolli quella pastiglia il mal di testa ti passa in un momento e la vita ti sorride?
Chi usa droghe oggi non lo fa perché è stupido, autolesionista, ignorante, pazzo. Chi usa droghe (mica solo i ragazzini in discoteca) lo fa perché le trova utili a vari scopi, pratici o ricreativi, anche se sa che possono fare male. Non è poi così diverso dal guidare ai 200 allora in autostrada perché si è in ritardo: è pericoloso, molto pericoloso, ma è visto (da chi lo fa) come utile allo scopo.
Chi usa le droghe lo fa perché è immerso in una società altamente medicalizzata: sa che c’è una pastiglia per ogni problema, dalla diarrea all’infelicità; lo fa perché per stare al passo con i ritmi del lavoro e del divertimento ha bisogno (qualche volta) di un sostegno, perché lo stress (alle volte) è troppo da sopportare senza l’aiuto di un bel cannone di marijuana. Aggiungiamoci poi la retorica del “no limits” e del “primato a tutti i costi” che domina l’immaginario collettivo e guida il sistema produttivo, e capiamo da cosa possa derivare l’abuso: il doping non è mica solo nello sport, anche se fa comodo pensarla così.
La campagna più coerente contro le droghe dovrebbe essere una campagna contro l’abuso di droghe.
Per l’alcol, la nostra “droga culturalmente controllata”, che uccide più che tutte le droghe illegali messe assieme (25000 morti all’anno solo in Italia) si invita alla moderazione, al “bere responsabile”: si sa che tanto la gente beve comunque. Dato che si sa anche che la gente si droga comunque, perché non fare lo stesso per le sostanze? Chi ci ha provato, è stato accusato di incitare al consumo.
Paradossalmente, la prevenzione efficace contro le “droghe” forse non avrebbe nemmeno bisogno di parlare di droghe. Basterebbe parlare di limiti. Educare al riconoscimento e al rispetto dei limiti umani: fisici e psichici, individuali e collettivi. Educare al rifiuto dell’idea dominante del “tutto e subito”. Educare alla moderazione. Inquinamento, crisi economica ed energetica, disturbi come bulimia o anoressia, consumo di droghe e dipendenze: è tutto intrecciato, sono sintomi diversi di una stessa malattia etica.
I limiti dovrebbero essere considerati sacri, non un impedimento al raggiungimento di chissà quale scopo nel minor tempo possibile. Siamo una società rovinata e che sta rovinando il pianeta a causa della brama del primato a tutti i costi. Un recordista sportivo che afferma “neanche io supero mai i miei limiti” mi parrebbe un messaggio molto più potente delle lampadine che si spengono nel cervello.
Qui lo spot:
Luca Borello e’ ricercatore e documentalista su sostanze e dipendenze