Demografia, energia, clima: l’equazione esplosiva
Puo’ darsi che abbiamo ancora in mente la bella umanita’ delle nazioni con la quale, a dicembre scorso, si’ e tenta la COP21, la conferenza internazionale sul cambiamento climatico. Non vincolante, l’accordo di Parigi prevede di garantire che l’aumento medio delle temperature sulla superficie del Globo si mantenga al di sotto dei 2 gradi centigradi -previsto idealmente a 1,5- in rapporto ai valori industriali. C’e’ una gradevole foto, dei sorrisi, una soddisfazione diffusa per essere giunti a mettere tutto il mondo d’accordo. E poi qualcuno ha impacchettato le sue cose, e’ rientrato a casa sua, ritornato al proprio quotidiano di legislatore politico o di giornalista, verso le prossime scadenze elettorali, alla propria campagna presidenziale, chi in Francia, chi in Usa, etc. Perche’ queste scadenze sembrino piu’ vicine, piu’ urgenti, piu’ importanti, perche’ si abbia l’impressione del tempo prima che il segnale d’allarme sul riscaldamento climatico non si inneschi.
Pertanto questo campanello suona gia’ in continuazione. Cio’ che ci viene ricordato, con una crudezza fredda e nera, da uno studio americano pubblicato nel prossimo numero della rivista Energy Policy. Firmato da Glenn Jones e Kevin Warner (Universita’ A&M del Texas), questo articolo si domanda sulla nostra capacita’ di risolvere quella che probabilmente e’ una delle piu’ grandi sfide del XXI secolo, un rompicapo dove tre elementi vengono messi a confronto: la crescita della popolazione mondiale, i suoi bisogni in energia e la necessita’ di lottare contro il riscaldamento climatico riducendo drasticamente le nostre emissioni di gas ad effetto serra. Questi due autori ricordano qualche numero che ognuno di noi dovrebbe avere in testa. Prima di tutto qualche dato demografico: la popolazione mondiale era di 1,6 miliardi di individui nel 1990, rispetto ai 7,2 di oggi e dovrebbe, secondo le proiezioni dell’Onu, aggirarsi sugli 11 miliardi di persone alla fine del secolo. In ogni ora di ogni giorno, sulla Terra ci sono in media 9.300 umani in piu’ rispetto all’era precedente.
Poi vengono i fabbisogni annuali in energia dell’umanita’. Nel 1900, erano 6.400 miliardi di Kwh rispetto a poco piu’ di 150.000 miliardi di Kwh di oggi. Se si prende in considerazione la popolazione in corso in questo periodo, questo significa che il consumo di energia per persona e’ piu’ che quintuplicato in 115 anni. La cifra media di 21.100 Kwh a persona per anno non deve nascondere le molto grandi disparita’ attuali. Nel contempo, si stima che circa il 20% della popolazione mondiale non ha accesso ad una rete elettrica, che un membro dell’Unione Europea consuma circa 37.000 Kwh rispetto agli 83.000 di un americano medio. Per ogni ora di ogni giorno, noi estraiamo dalle viscere della Terra, 3,7 milioni di barili di petrolio grezzo, 932.000 tonnellate di carbone e 395 milioni di metri cubi di gas naturale.
Infine ce’ l’obiettivo di contenere il riscaldamento climatico sotto il livello dei 2 gradi. Per conservare il 50% di possibilita’ di raggiungerlo, l’umanita’ non avrebbe dovuto emettere piu’ di 2.000 gigatonnellate di CO2 dopo il 1870. E’ bene precisare che tra il 1870 e il 2010, circa 1.900′ gigatonnellate di diossido di carbonio di origine antropica e sono state mandate nell’atmosfera e che il ritmo attuale delle emissioni non fa altro che aumentare. Se le societa’ umane vi giungeranno non sara’ se non perche’ avranno stabilizzato il loro consumo di combustibili fossili, col limite di 2.900 gigatonnellate di tonnellate che si dovrebbe assestare nel 2038. Per ogni ora di ogni giorno, noi rilasciamo 4,1 milioni di tonnellate di CO2.
A partire da questi dati, Glen Jones e Kevin Warner hanno fatto qualche proiezione per disegnare il ritratto della transizione energetica verso un mondo senza carbone. Siccome la popolazione mondiale andra’ ancora considerevolmente aumentando fino al 2100, la produzione globale annuale di energia nei Paesi emergenti, essi stimano che nel 2100 la produzione globale annuale di energia sulla terra dovrebbe essere piu’ che raddoppiata in rapporto ad oggi e che la stessa dovrebbe essere filtrata attraverso 320.000 miliardi di Kwh. Ecco quindi il risultato in numeri dell’equazione esplosiva che viene evocato da questo studio.
Se l’umanita’ ha realmente intenzione di seguire il trattato di Parigi, dovrebbe cominciare da subito a ridurre la parte di energie fossili e investire massivamente nelle energie rinnovabili. Produrre 320.000 miliardi di Kwh nel 2100, implica in effetti di aver installato da oggi 14 milioni di pale eoliche di 5 megawatt (considerando il numero reale di funzionamento e di un fattore di carico), 650.000 chilometri di pannelli fotovoltaici (cioe’ l’equivalente del territorio della Francia, dipartimenti e regioni d’oltremare inclusi), nonche’ 2 milioni di chilometri di fabbriche di biocarburanti a base di alghe…
I calcoli dei due ricercatori mostrano che se si vuole restare al disotto dei 2 gradi, occorre che la parte di rinnovabili nel mix energetico, passi al 50% nel 2028 a livello mondiale! Di fatto, oggi non aumenta se non del 9% al giorno, includendo l’idroelettricita’. Se ci si concentra sull’eolico, il solare e i biocarburanti, bisogna moltiplicare per 37 le infrastrutture attuali. Queste stime, inoltre, non prendono in considerazione l’energia necessaria per estrarre le materie prime utilizzate nella fabbricazione di tutte queste installazioni!
Qualcuno ha già capito che siamo illusi se pensiamo di poter raggiungere gli obiettivi del trattato di Parigi, soprattutto quando ci si ricorda che e’ stato fissato da alcune persone i cui convincimenti ambientali spesso si realizzano molto sporadicamente, e dove l’agenda non va oltre l’orizzonte delle prossime elezioni. Allora 2028 e 2100… Gli autori dello studio giudicano nettamente piu’ probabile uno scenario a 2,5 o a 3 gradi. E’ questo un modo di collegarsi ad una corrente di pensiero che stima piu’ intelligente adattasi al riscaldamento climatico piuttosto che impegnarsi per limitarlo? Non proprio. Non solo questi due ricercatori considerano il proprio lavoro come un “campanello d’allarme”, cosi’ come lo spiega Glenn Jones, ma essi sottolineano, in modo molto pragmatico, che le nostre societa’, se non si adattano ai nuovi dati energetici grazie ad una presa di coscienza ecologica, dovrebbero comunque farlo sotto la costrizione economica della rarefazioni delle risorse fossili. La realtà crudele e’ che se non agiamo, alla fine ciò che vince e’ la geologia.
(articolo di Pierre Barthélémy pubblicato sul quotidiano Le Monde del 31/03/2016)