Coronavirus e RSA. Attenzione a non gettare via il bambino con l’acqua sporca…

  Sicuramente uno dei simboli dei luoghi di infezione del coronavirus, tra i tanti, sono le Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), luoghi di degenza sanitaria con persone non autosufficienti e bisognose di cure continue. Lombardia e Toscana (1), più di altre regioni, sono state e sono le regioni dove queste Residenze sono state più frequentemente coinvolte.

Questa situazione, anche perché coinvolge persone molto anziane, più deboli e bisognose di cure mediche e di affetto umano/famigliare, sta facendo emergere proposte di chiusura di questi centri (2). Il motivo conduttore di queste proposte è il fatto che il governo ha da poco istituito le unità speciali di continuità assistenziale per malati di Covid a domicilio… e quindi si ipotizza che si potrebbe fare lo stesso per gli anziani; in considerazione del dubbio che l’assistenza diffusa sul territorio (così come la sanità) non sia necessariamente più costosa di quella istituzionale, e stiamo parlando di costi elevatissimi comunque ininfluenti: non si tratta di una questione di soldi, visto che gli anziani sono morti anche laddove la retta era molto alta. Per questo si auspica un cambio di mentalità: superare l’istituto sarebbe una conquista civile per tutti.

Queste considerazioni non sono da sottovalutare, ma vanno affrontate con serenità e razionalità. E’ comprensibile che questi pazienti abbiano bisogno di affetti che una RSA, per quanto bella e costosa e attrezzata possa essere, non potrà mai dare. Ma siamo sicuri che chi va in queste Residenze sia assimilabile a chi va, per esempio, in un ospizio? Un degente in RSA è mediamente non autosufficiente con necessità di assistenza 24 ore su 24, anche di più persone specializzate, con compiti molto diversi tra loro, e presenti in ogni momento. Un tipo di assistenza che in casa, per quanto possa essere incentivata da nuovi e specifici contributi pubblici, non potrà mai essere fornita (infermiere, caregiver o badante che sia… ché altri tipi di supporti, paragonabili a quelli di una Residenza, sono impossibili, a parte qualche ricchissimo).
Non è un caso, infatti, che le rette per le RSA siano molto alte (categoria A in Toscana, per esempio, ci si avvicina ai 3.500 euro al mese), e che se non fossero degenti concentrati fisicamente in una struttura, sarebbero costi molto maggiori.

Aduc ha in corso da anni un contenzioso con vari Comuni e Regioni per queste rette che, in alcuni casi, dovrebbero essere a totale carico del Servizio Sanitario, ma le amministrazioni locali si inventano l’inventabile pur di non contribuire. E si va avanti con sentenze a favore di una parte e dell’altra (3).
Ma questo non ci porta a “buttar via il bambino con l’acqua sporca”. Dove “acqua sporca” è la furbizia delle amministrazioni per non contribuire a questo tipo di pazienti e, oggi col Coronavirus, la “acqua sporca” si ipotizza stia diventando il fatto che diversi focolai pandemici si concentrano in queste strutture. Ovviamente non sminuiamo quelli che sono i fatti e i focolai, ma ci teniamo a sottolineare che la necessità di una maggiore umanizzazione di queste Residenze non può entrare in conflitto col servizio di eccellenza che lì viene prestato, ipotizzando alternative che non sono praticabili. I focolai nelle RSA sono drammatici come quelli di un ospedale, ma a nessuno verrebbe in mente di dire che, per questo motivo, andrebbe abolito l’ospedale come istituzione.
E’ bene quindi concentrarsi per farsi meno male e migliorare, ma non “per buttare via il bambino”.

1 – è di questi giorni a Firenze, la notizia di una RSA dove ci sono state 84 infezioni e 12 decessi
2 – proposte simili si ritrovano sui quotidiani Domani e La Repubblica
3 – qui lo specifico canale sul web di Aduc
 
 

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