Coltivazione cannabis e offensività. Commento alla sentenza n. 12612/13 Cassazione
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ove la coltivazione appaia circoscritta ad un numero di piante estremamente limitato e modico, comunque, del tutto incompatibile con il vero concetto di coltivazione, che coincide naturalisticamente, con quelle attività agrarie propriamente dette, le quali presuppongono caratteri completamente differenti da una coltura di natura domestica, (cfr. GUP Milano, 13 ottobre 2009, Nicastro, che sostiene che “coltivare significa governare un ciclo di preparazione del terreno, semina, sviluppo delle piante e raccolta del prodotto”),
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ove le modalità esecutive dell’azione non paiano particolarmente curate sul piano organizzativo o, comunque, esse non siano supportate dall’uso di strumenti tecnologici sofisticati
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ove l’ambiente, nel quale la coltivazione viene svolta, sia ubicato in contesti privati e/o abitativi, che precludono un agevole accesso a terze persone,
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ove il coltivatore dimostri di essere anche un consumatore non occasionale di derivati della cannabis,
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ove difettino – oggettivamente – gli ulteriori elementi probatori, per ritenere che la destinazione del prodotto ricavato dalla coltura possa essere (in tutto od in parte) quella della cessione a terzi,
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ove, in conclusione, si possa, sostenere che tutto il percorso coltivativo, inizi, prosegua e si concluda in un contesto assolutamente privatistico, precluso a persone estranee all’agente,