Cannabis. La buona pianta americana
L’ambiente e’ di festa questo 15 dicembre nel Massachusetts. I pro-marijuana celebrano l’entrata in vigore di una legge che consente di possedere, coltivare e consumare l’”erba che fa ridere” (in quantita’ limitata). In seguito a dei referendum dello scorso 8 novembre, sette Stati hanno anche legalizzato l’uso ricreativo della cannabis (California, Maine, Nevada) o il suo uso medico (Florida, Arkansans, Dakota del Nord, Montana). Essa e’ quindi autorizzata in 30 Stati su 50, parzialmente o completamente, e piu’ della meta’ della popolazione americana puo’ godere di una tale legislazione.
Da qualche anno, la marijuana e’ diventata un prodotto come un altro in Usa. E un prodotto che interessa. Secondo le stime dell’Arcview Group, uno studio di ricerca ed investimenti sulla cannabis fondato da Steve DeAngelo, le vendite legali sono andate oltre il 17% tra il 2014 e il 2015 per attestarsi a 5,4 miliardi di dollari (5 miliardi di euro) e dovrebbero aumentare ancora del 25% quest’anno per un totale di 6,7 miliardi di ricavi nel 2016. In quattro anni, il mercato nazionale dovrebbe far girare 22 miliardi di dollari.
La legalizzazione della marijuana rappresenta, al momento, una “success story” in Usa. Nel Colorado, che ha autorizzato il suo uso ricreativo nel 2014, le attivita’ legali avrebbero permesso la creazione di piu’ di 18.000 posti di lavoro a tempo pieno nel 2015 e generato 2,4 miliardi di dollari, secondo un recente rapporto del Marijuana Policy Group. La legalizzazione sarebbe anche benefica per le casse degli Stati. Secondo questo studio, l’industria della cannabis permettera’ entro il 2020 di raccogliere piu’ tasse che non le sigarette. Nel 2015, sono gia’ 121 milioni di dollari di tasse che sono andate nelle tasche dello Stato del Colorado. Questa cifra dovrebbe attestarsi sui 150 milioni di dollari entro quattro anni.
In California, in prospettiva di questo ritorno di un’esperienza gia’ fatta, e’ un giubileo. La legalizzazione per tutti gli adulti di piu’ di 21 anni, entrata in vigore da alcune settimane, dovrebbe creare un mercato di circa 4,3 miliardi di dollari (4 miliardi di euro) entro il 2018. Nel Golden State, e’ ora legale possedere fino a 28 grammi di cannabis per uso personale, di far crescere fin a sei piante, di detenere o donare la propria produzione, Il consumo in ambito privato e’ autorizzato, ma non nei luoghi pubblici. Lo Stato sta ora pianificando un sistema di licenze di distribuzione e di produzione che potrebbe essere avviato nel 2018. In attesa, le autorita’ locali possono concedere delle licenze temporanee ai dispensari di cannabis medica gia’ esistenti. Harborside, il piu’ grosso centro del Paese, di proprieta’ di Steve DeAngelo, e’ in trattative con la citta’ di Oakland per ottenere una licenza del genere. Attualmente, in California 2.000 centri medici vendono marijuana su ordinazione. Una volta che il sistema delle licenze sara’ pronto, essi potranno fornire cannabis a qualunque persona adulta.
“Grossi pesci”
Se la legalizzazione negli Stati offre enormi prospettive economiche, la marijuana rimane vietata a livello federale. Il governo classifica sempre la cannabis come sostanza pericolosa di categoria 1, allo stesso livello di eroina e al di sotto della cocaina. In teoria, la produzione, la vendita, il possesso e il consumo dovrebbero quindi essere vietati nel Paese. Ma una tolleranza federale continua ad esserci verso gli Stati, che restano liberi di decidere la propria legislazione in materia. Il “Cole Memo”, un documento pubblicato dal ministero della Giustizia ad agosto 2013, garantisce questa situazione ma non ha forza di legge. Il futuro ministro della Giustizia dell’amministrazione Trump. Jeff Sessions, fervente oppositori alla legalizzazione della marijuana, potrebbe eliminarlo con un solo tratto di penna.
Donald Trump ha pertanto assicurato a diverse riprese durante la sua campagna elettorale che, anche se lui non sostiene il consumo ricreativo, ne lascera’ la prerogativa agli Stati. Il futuro presidente degli Usa sostiene quindi la marijuana terapeutica al 100%.
Questo divieto federale ha anche effetti sul finanziamento del settore. “In Usa, l’industria legale della cannabis non funziona che con dei soldi liquidi, e ci sono molte poche concessioni di prestiti”, spiega Gerry Greenspoon, cofondatore dello studio di avvocati specializzato nel diritto della cannabis, Greenspoon Marder, E per questo motivo, le esigenze imposte dal potere federale per permettere alle banche di intervenire nell’industria legale della marijuana sono talmente strette, che le stesse preferiscono rimanere in attesa.
I giganti del settore farmaceutico, del tabacco e dell’alcool attendono anch’essi con impazienza una legalizzazione federale per tagliarsi una parte dello “space cake”. “Attualmente, delle piccole e medie imprese sono in grosse parti del mercato. Quando le grandi imprese arriveranno, una volta che non ci sara’ piu’ il divieto federale, ci saranno talmente tanti attori che i grossi pesci non avranno altra scelta che includerne altri”, dice Troy Dayton, dell’Arcview Group. Taylor West, dell’associazione nazionale dell’industria della cannabis, non e’ preoccupato: “C’e’ lo spazio perche’ le grosse imprese coabitino con i piccoli venditori di prodotti supersofisticati”. Il confronto e’ spesso fatto col mercato della birra dove una moltitudine di microbirrerie sopravvive a fianco dei mastodonti. “Ben presto, la barriere federali cadranno -assicura, ottimista, Amy Margola, dello studio Greensopoon Marder-. E’ una questione di due/cinque anni”. In attesa, la California e’ pronta a detronare i Paesi Bassi per diventare la Disneyland della cannabis.
(articolo di Aude Massiot, pubblicato sul quotidiano Libération del 28/12/2016)