Cambiamento climatico. La biodiversita’ minacciata di estinzione di massa
C’era gia’ la distruzione e la frammentazione dell’habitat, grazie agli effetti dell’agricoltura, dell’allevamento o della deforestazione, la caccia e il bracconaggio, le malattie e i vari inquinamenti. Da oggi, oltre a queste minacce, si aggiunge il pericolo del cambiamento climatico.
Cosi’ uno studio realizzato dal WWF e le universita’ di East Anglia (UK) e James Cook (Australia), i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Climatic Change oggi 14 marzo con un rapporto dal titolo “ La natura di fronte allo choc climatico”. I risultati sono inappellabili: se il riscaldamento planetario proseguira’ fino ad arrivare a +4,5 gradi, circa il 50% delle specie che attualmente vivono nelle regioni piu’ ricche di biodiversita’ saranno minacciate di estinzione da qui agli anni 2080.
I ricercatori si sono focalizzati su trentacinque ecoregioni prioritarie individuate dal WWF -come Amazzonia, Grande Barriera corallina, deserto della Namibia o il delta del Mekong- dove vi sono numerose specie tipiche, endemiche e in pericolo.
Modellando 80.000 specie
La ricerca ha voluto determinare come il clima condizionera’ queste zone nel futuro, in funzione di quattro diversi scenari: quello di base, caratterizzato da emissioni di gas ad effetto serra che continua ad aumentare senza limiti per attestarsi ad una temperatura di 4,5 gradi entro la fine del secolo in rapporto all’era preindustriale; le iniziative previste dagli Stati nel quadro della conferenza di Parigi sul clima, che porterebbero ad un aumento del termometro di 3,2 gradi (versione pessimista) o di 2,7 (versione ottimista); infine, l’obiettivo di limitare il surriscaldamento a 2 gradi massimo, cosi’ come e’ stato stabilito dalla COP21.
Per fare questo, gli scienziati hanno utilizzato un precedente progetto (Wallace Initiative) che ha modellato l’area geografica presente e futura di 80.000 specie di piante, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi in funzione delle condizione di temperatura stagionali ma anche della pluviometria e della nuvolosita’.
“I calcoli sono stati effettuati su una griglia di 20 Km per 20, in modo che sia possibile contare, in ogni cellula, il numero di specie per le quali il clima resta adatto per il futuro e il numero di specie per le quali, invece, non lo sara’ piu’”, spiega la prima autrice dello studio, Rachel Warren, professoressa all’Universita’ di East Anglia.
“Uno scenario di laisser-faire potrebbe rivelarsi catastrofico per l’insieme dei gruppi di specie”, sottolinea il rapporto.
La sua équipe ha studiato due ipotesi, secondo che le specie siano in grado o meno di migrare per seguire la loro nicchia ecologica (piu’ spesso verso i poli, le cime delle montagne o la profondita’ degli oceani a temperature piu’ fresche). Non hanno analizzato altre risposte al cambiamento climatico, come le mutazioni genetiche, piu’ difficili da quantificare. I ricercatori non hanno ugualmente preso in considerazione gli eventi climatici estremi che possono far crescere i rischi di estinzione locale, ne’ l’evoluzione della banchisa e del permafrost o ancora i fattori che non sono legati al clima (la perdita di habitat legata all’essere umano, le malattie o le interazioni tra specie).
Contenere il riscaldamento climatico
“Questo lavoro e’ interessante a questa scala, in modo da poter conoscere la percentuale di specie a rischio in regioni molto diverse dal punto di vista climatico e della biodiversita’”, dice Franck Courchamp, ecologo e direttore delle ricerche al CNRS, che non ha partecipato allo studio.
I risultati mostrano l’importanza di contenere il riscaldamento climatico. Il 48% delle specie delle 35 ecoregioni sono minacciate di estinzione con un clima a +4,5 gradi, una cifra che casca a 37% in uno scenario a +3,2 gradi e soprattutto al 24% in un mondo a +2 gradi. Nello stesso tempo, solo il 33% delle zone studiate potrebbero giocare il ruolo di rifugi climatici nel primo scenario, rispetto al 47% nel secondo e 67% nel terzo. In generale, i gruppi piu’ vulnerabili sarebbero le piante, i rettili e gli anfibi.
Nel dettaglio, le ecoregioni piu’ affette sono quelle boschive di Miombo in Africa australe e centrale, il sud-ovest dell’Australia e l’Amazzonia. Quest’ultima, dove c’e’ piu’ del 10% di tutte le specie conosciute sulla Terra e gioca un ruolo chiave nella regolamentazione del clima mondiale, rischia di vedere sparire piu’ di quattro piante su dieci in un mondo a +2 gradi (e circa il 70% a +4,5 gradi). Un terzo dei mammiferi sarebbe ugualmente minacciato -una cifra che raddoppierebbe in uno scenario peggiore.
L’estremo sud-ovest dell’Australia, con le sue emblematiche specie com il Wallaby delle rocce, sarebbe esposto alle perdite di rifugio tra le piu’ consistenti al mondo a 2 gradi come a +4,5 gradi. Uno scenario di laisser-faire potrebbe rivelarsi catastrofico per l’insieme dei gruppi di specie”, prevede il rapporto, con l’81% delle specie di mammiferi, 89% di anfibi e il 74% delle piante minacciati di estinzione locale.
L’Australia ha conosciuto la prima estinzione mondiale di una specie di mammifero causata dal cambiamento climatico: il Melomys rubicola, un roditore vittima della crescita del livello del mare.
Zone protette e corridoi ecologici
“Aggiungendo il clima alle altre due minacce che pesano sulla biodiversita’, l’umanita’ rischia di appesantire la proprie erosione, dice Pierre Cannet, responsabile del programma clima ed energia del WWF France. La gravita’ della situazione chiama ad una mobilitazione ampia: i 2 gradi di aumento delle temperature mondiali dovrebbero essere un plafond e non una base”.
Lo studio mostra anche che l’attenuazione del cambiamento climatico e’ molto piu’ efficace, per proteggere la biodiversita’, che non l’adattamento all’aumento delle temperature. Si tratta di “ridurre le nostre emissioni di gas ad effetto serra a livello mondiale, uscendo dalle energie fossili e cambiando i nostri modelli di produzione e di consumo”, ricorda il WWF.
Rimane il fatto dell’“l’adattamento ad un ruolo da giocare a livello locale, per la creazione di zone protette o di corridoi ecologici, la preservazione dei rifugi climatici o il trasferimento degli individui o delle sotto-popolazioni verso queste aree.
“Per numerose ecoregioni o specie, il clima e’ sfortunatamente una minaccia secondaria, dopo la distruzione degli habitat (come per i lemori del Madagascar, o le tigri della Siberia) o direttamente di specie (bracconaggio degli elefanti), dice Sandra Lavorel, ecologia del laboratorio di ecologia alpina di Grenoble. Non bisogna piu’ dimenticare i motivi delle cause primarie della perdita di biodiversita’”.
(articolo di Audrey Garric, pubblicato sul quotidiano Le Monde del 14/03/2018)