Biocomputer con cellule umane. L’intelligenza organoide

Organoide è una parola difficile. Ricorda i film di fantascienza dove organismi non proprio umani invadono il pianeta Terra. Se, poi, ci aggiungiamo “neurali” la complessità  aumenta. Per rendere comprensibile le parole possiamo tradurle in “cellule del cervello umano”, ma gli organoidi non sono un semplice insieme di cellule quanto piuttosto un organismo in miniatura, simile a quelli che abbiamo nel nostro corpo. Un “mini cervello”, insomma. 
Gli organoidi possono riguardare anche altri organi quali il cuore, il fegato, il rene, i polmoni, etc. Sono sviluppati in laboratorio a partire dalle cellule staminali che poi si auto-organizzano. 

Gli organoidi neurali non sono vascolarizzati quindi non sono piccoli cervelli pensanti, anche se – in un articolo pubblicato sulla rivista scientifica “Cell Stem Cell” – alcuni ricercatori dell’Universià  di San Diego in California hanno descritto per la prima volta un organoide di neuroni che ha generato onde “cerebrali” tipiche dei cervelli umani molto immaturi ed è un segnale che i neuroni stessi si stavano organizzando in reti funzionali. 
Lo studio degli organoidi neurali può migliorare la comprensione dello sviluppo del cervello umano, dell’apprendimento e della memoria e aiutare a individuare trattamenti specifici per disturbi neurologici come la demenza.

 Sembra fantascienza ma questi “piccoli cervelli” potrebbero addirittura sostituire i chip di un computer che, quindi, diventerebbe un biocomputer.
Lo documenta una ricerca degli scienziati della John Hopkins University (Usa), pubblicata sulla rivista scientifica “Frontiers in Science”.
I cervelli umani sono piú lenti delle macchine nella elaborazione di informazioni semplici ma li superano in quelle complesse soprattutto se i dati sono incerti, eterogenei o incompleti. L’intelligenza artificiale (AI) dei computer processa una quantità  maggiore di dati solo in elaborazione seriale, cioè procede con una operazione alla volta; il cervello umano, invece, può effettuare operazioni seriali e parallele (cioè più attività  contemporanee), e inoltre, il biocomputer utilizza solo una frazione di energia di quella impiegata dall’intelligenza artificiale.

 Come funziona?
Ce lo spiega il professor Thomas Hartung, della John Hopkins University, coautore della ricerca pubblicata su “Frontiers in Science”: “Abbiamo sviluppato una interfaccia fra un mini cervello e un computer: è un guscio disseminato di elettrodi che riesce a captare i segnali dell’organoide. Stiamo raggiungendo i limiti fisici dei computer al silicio perchè non possiamo inserire più transistor in un minuscolo chip. Il cervello è cablato in modo completamente diverso. Ha circa 100 miliardi di neuroni collegati attraverso oltre 1.015 punti di connessione. Si tratta di una differenza di potenza enorme rispetto alla nostra tecnologia attuale”. 

L’intelligenza organoide (OI) batterà  l’intelligenza artificiale (AI)? Vedremo gli sviluppi. Certo è che si apre un mondo a dir poco affascinante.

(Articolo pubblicato sul quotidiano LaRagione del 16 Marzo 2023)
 

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