L’arte di leccare il gelato
“La sola cosa buona quando uno è ferito nel posteriore è il gelato” sostiene Forrest Gump, ricordando anni dopo l’esperienza del Vietnam. Come dargli torto. Che sia fatto seguendo il metodo tradizionale o senza gelatiera, classico, vegano o nei gusti più strani, resta il fine pasto estivo più gradito e un eccellente comfort food in tutte le stagioni dell’anno tanto da conquistarsi una data celebrativa sul calendario, il 24 marzo, proclamata dal 2013 giornata europea del gelato artigianale.
Nella caldissima estate del 1968 è nientemeno che il New Yorker a occuparsi della faccenda, raccontando con sagacia tutto ciò che non bisogna fare quando si entra con la famiglia in gelateria: mai lasciare campo libero al gelataio se non si vuole finire con in mano tutti i gelati del gruppo e recitare la “scena patetica del genitore che regge il gelato del figlio e fruga in cerca dei soldi”. Di qui la regola numero uno: si paga sempre prima. Poi viene il bello, ossia la gestione di quella montagnola di crema soffice che, a causa della forza di gravità e del caldo, ha una gran voglia di scivolare sulle dita, quando non direttamente a terra. Segue spiegazione dettagliata su come evitarlo: “In piedi, con almeno mezzo metro tra un piede e l’altro, il busto piegato in avanti di almeno 25 gradi, gomito destro alzato, braccio destro orizzontale tenuto all’altezza della clavicola ma ad almeno 30 cm di distanza”. Avendo dato prima un’occhiata allo stato di salute del cono, che “non presenti fratture”. Perché – regola numero due – prima del piacere viene il controllo. La tecnica, affinata in anni di severa applicazione prevede che la mano ruoti di 360 gradi “allontanando da voi il pollice e avvicinando le altre dita, in senso antiorario. Allora, con il cono di fronte a voi, e con il polso piegato al suo massimo angolare verso di voi, applicate una leggera pressione con la bocca e con la lingua sul gelato”.
Ma perché tanta fatica quando potremmo gustarlo in comode e sicure coppette? La scienza ha stabilito da tempo che il gelato si assapora meglio quando viene leccato direttamente dal cono invece che consumato con il cucchiaino. Kay McMath, scienziato sensoriale della Massey University a conclusione della sua ricerca promuove il cono a pieni voti: a contatto con la lingua il gelato si riscalda in modo rapido e uniforme e il sapore viene percepito su tutta la superficie delle papille gustative; il cucchiaino invece agisce da isolante mantenendolo più freddo al contatto con la bocca. La lingua lo spinge verso il palato dove si scioglie solo poco prima di essere ingoiato coinvolgendo una superficie più piccola. Regola tre: meno gusto uguale meno soddisfazione.
Sgombriamo subito il campo da facili ironie. Con il permesso di Donna Letizia le signore possono leccare pubblicamente il cono in serenità a patto di avere la grazia di Audrey Hepburn in Vacanze Romane. La questione non è dunque se sia o meno lecito ma farlo correttamente. Bon ton impone di iniziare dai lati con colpetti leggeri affinché non coli quindi affrontare la parte superiore con maggior intensità. A meno che non siate in Turchia dove non è consigliato a una donna mangiare un cono in pubblico (breve divagazione gastronomica: a Istanbul il gelato al pistacchio tende al marrone invece che al verde ma non c’è da preoccuparsi: significa che è fatto con vero pistacchio turco, più scuro rispetto a quello di Bronte). Ne consegue la regola numero quattro: i coni non sono per forza in contrasto con le buone maniere.
Eppure, nonostante il permesso degli esperti di savoir fare, mangiare il gelato in pubblico mette tutti, uomini e donne, sempre un po’ a disagio. Uno studio rivela che davanti al gelato siamo nudi, psicologicamente parlando. Essendo un alimento che si consuma in modo diretto – spesso in piedi e, nel caso di coni e stecchi, senza posate – gli atteggiamenti formali che adottiamo di solito vengono meno. In altre parole, il gelato ha il potere di abbattere le difese e sciogliere il super-io.
Un primo indizio di personalità deriva dalla risposta alla fatidica domanda: cono o coppetta? Il cono è amato da chi cerca un’esperienza sensoriale completa; prima bisogna interagire (e domare) le creme vellutate, quindi mordere la cialda croccante: niente di meglio per un gaudente. Chi sceglie la coppetta, invece, di solito ha una personalità misurata; è l’unico gelato “contenuto”, da mangiare con il cucchiaino, il formato preferito da chi non riesce a lasciarsi andare fino in fondo a un piacere che può contenere anche il rischio di sporcarsi le mani o i vestiti. Lo stecco ha un significato ambivalente: a prima vista chi lo sceglie è una persona intraprendente, ma allo stesso tempo nasconde una personalità insicura che ha bisogno che rimanga qualcosa di tangibile, lo stecco appunto, con cui giocare o semplicemente tenere in bocca. Il gelato con il biscotto è la fotografia della merenda preparata dalla mamma: una pausa rassicurante per chi è alla ricerca di un surplus di nutrimento affettivo. Le praline rappresentano un godimento “mordi e fuggi”, perfetto per un break veloce, un piccolo piacere da concedersi senza rimorsi. Il ghiacciolo, infine, richiamerebbe una personalità effimero/indipendente, attratta dai piaceri istantanei e poco incline all’attesa.
Non solo cosa scegliamo ma soprattutto come lo mangiamo rivela molto di noi. Sembra che chi lo consuma leccandolo sia una persona amante delle relazioni sociali, un ottimista; chi preferisce succhiarlo vive legami affettivi intensi; chi lo mordicchia è un tipo riflessivo che ama le decisioni ponderate e chi lo mangia a grandi morsi sia tendenzialmente una personalità testarda ma molto sincera. Da ciò possiamo dedurre l’insegnamento numero cinque: davanti al gelato nessuno è perfetto.
“A ogni modo i gelati vanno sorbiti con prudenza e senza fretta, per evitare troppo forti squilibrî di temperatura nell’esofago e nello stomaco”, come si legge nei manuali tecnici di inizio Novecento.
Veniamo a una situazione più rilassata, il gelato servito a casa, come dessert. Va portato in tavola dopo il formaggio e prima della frutta con il porzionatore immerso in una ciotola piena d’acqua fredda in modo che a ogni porzione il gelato si stacchi con facilità. Quello morbido, appena fatto, si serve in alzatine d’acciaio (materiale che mantiene meglio la temperatura) o in coppette di vetro, accompagnate da un piattino; il cucchiaino a forma di paletta dovrebbe già trovarsi sul tavolo, davanti al piatto, con le posate da dolce. Tartufi, praline, semifreddi o parfaits hanno bisogno di piattino e forchetta. Monito numero sei: ogni consistenza richiede la sua posata.
Per contrastare lo shock da freddo, un bicchiere d’acqua accanto alla coppa è sempre molto apprezzato. E se fosse un calice? Se l’abbinamento vino/cibo è uno dei più spinosi e ancora si dibatte se un bianco sia davvero perfetto con il pesce o quale temperatura sia idonea per servire un rosso con i formaggi, con il gelato come ci si regola? L’istituto del gelato dispensa tre suggerimenti: la temperatura, il principio della concordanza e l’ordine di degustazione. Per evitare di ritrovarsi con le papille gustative anestetizzate e di compromettere l’assaggio, il gelato va gustato a temperature tra i 12 e i 15 gradi mentre il vino va servito a un paio di gradi in più rispetto allo standard. Il tutto nell’ordine corretto come recita la regola numero sette: prima si sorseggia il vino, poi si gusta il gelato, mai viceversa.
I gusti a base di frutta si accompagnano bene a vini dal residuo zuccherino come Moscato d’Asti o Brachetto d’Acqui serviti freddissimi. Le creme – nocciola, noce, pistacchio, vaniglia – sono perfette con vini passiti e Malvasia. Il Tokaji si esalta con zabaione e mandorle, mentre distillati invecchiati e liquori si sposano bene con il cioccolato fondente, ma se stiamo per affrontare un extra fondente meglio un Porto Tawny, un Madeira Malmsey o uno Sherry Pedro Ximenes.
Ora che l’abbiamo domato, almeno in teoria, possiamo gustarci la storia. Firenze rivendica l’invenzione del gelato moderno, fatto con latte, panna e uova, golosa innovazione che si deve al genio rinascimentale di Bernardo Buontalenti che perfezionò l’intuizione di un altro fiorentino, tale Ruggeri, macellaio alla corte dei Medici. In Francia sorbetti e granite arrivano per opera di un altro italiano, Francesco Procopio dei Coltelli che, trasferitosi a Parigi, apre il primo caffè-gelateria della storia, il famoso caffè Procope. Alla fine del Settecento il gelato attraversa l’oceano e conquista gli americani grazie all’intraprendenza di Filippo Lenzi che apre la prima gelateria degli States. A metà ottocento, per contrastare la crisi, nascono i venditori ambulanti di gelati; sono soprattutto bellunesi che dal Friuli con i lori carretti varcano i confini, facendo scoprire il gelato italiano in tutta Europa e applicando con i fatti la regola numero otto: mai darsi per vinti, a volte è sufficiente mettersi in cammino.
La lavorazione industriale si deve all’intuizione di un lattaio di Baltimora, Jacob Frussel, che invece di buttare il latte invenduto provò a congelarlo. L’invenzione della gelatiera, invece, è controversa: alcuni attribuiscono l’idea a Nancy Johnson, che nel 1843 inserì una manovella sopra il contenitore della sorbettiera per facilitare la lavorazione del composto, altre fonti danno la paternità a William Le Young. Una cosa è certa: dall’inizio del Novecento il gelato diventa fonte di patriottismo negli Stati Uniti, tanto che nel Pacifico, durante la seconda Guerra Mondiale, la Marina americana converte una chiatta in fabbrica di gelati. Perché la storia insegna che non sarà l’arma segreta per vincere una guerra ma senz’altro aiuta a tenere alto il morale.
Noi italiani possiamo rivendicare il gelato con lo stecco, inventato a Torino nel 1939 dal cavalier Feletti, proprietario della storica gelateria Pepino. Il Pinguino, cuore di vaniglia ricoperto da una leggera copertura di cioccolato, costava quanto il biglietto del cinema, una lira. Dopo la guerra arriva il Mottarello, primo gelato industriale su stecco, e negli anni ‘50 il primo cono con cialda industriale, il mitico Cornetto. La diffusione del freezer domestico fa la fortuna del primo secchiello formato famiglia, il Barattolino. Ma qui siamo già al prodotto di massa che ispira mitiche pubblicità e tormentoni estivi come “Gelato al cioccolato”, brano scritto da Cristiano Malgioglio e portato al successo da Pupo. Che ci regala l’ultima buona idea: non chiedere mai al vostro interlocutore perché ha scelto proprio quel gusto.
(articolo di Claudia Saracco, pubblicato su Gastronomika/Linkiesta del 13/07/2020)
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