Gli animali rappresentano modelli e soluzioni per noi umani? Intervista a Emmanuelle Pouydebat
Direttrice della ricerca al CNRS e al Museo di Storia Naturale francese, specialista dell’evoluzione dei comportamenti, Emmanuelle Pouydebat segue un suo percorso eclettico lavorando con scimmie, rane, elefanti o gamberi. Nei suoi scritti divulgativi condivide la sua capacità di meravigliarsi davanti all’ingegnosità degli animali e della loro intelligenza spesso negata. Se facciamo un po’ attenzione, dice, troveremo mille soluzioni a dei problemi che condizionano oggi la nostra sopravvivenza collettiva.
D. Come definisce l’intelligenza?
R. Il nostro laboratorio si chiama Mecanismes adaptatifs et évolution (Mecadev). Si occupa di vedere come gli animali trovano soluzioni a problemi nuovi. L’idea è di dimostrare che l’intelligenza non si misura solo attraverso il QI (Quoziente di intelligenza) o dalle capacità cognitive di punta, ma che si può prendere in considerazione la facoltà di adattamento. La mia definizione di intelligenza è quindi un insieme di comportamenti che permettono ad un individuo di adattarsi per trarne i maggiori benefici, la sopravvivenza.
D. Visto così, gli umani non sembrano molto intelligenti…
R. Ho in effetti l’impressione che in molto poco tempo avremo distrutto molto del nostro ambiente, fatto che va nella direzione opposta della nostra sopravvivenza. Nella sola Europa, i vertebrati, gli uccelli o gli insetti scompaiono in modo massiccio. Può darsi che manchiamo di intelligenza collettiva per trovare delle soluzioni che non siamo in grado di applicare rapidamente. Per fortuna, a livello locale, ci sono delle zone dove si pratica un’agricoltura intelligente per preservare alberi e fiori. Gli insetti e gli uccelli vi ritornano, ma è ancora molto circoscritto.
D. Con l’intelligenza animale, vuole anche qualificare il dominio dell’Homo sapiens nella nostra gerarchia dei viventi?
R. Ho sempre difficoltà a credere che si sia nella parte alta di una piramide dell’intelligenza. Ogni specie ha le sue particolarità, le sue competenze, le sue capacità, e non siamo necessariamente i migliori in tutto. Ci sono alcuni punti in cui noi siamo forti, come la tecnologia, la progettazione. Al contrario, si trova di meglio nel mondo animale per ciò che riguarda la memoria o il senso d’orientamento. Non solo, la nostra capacità di innovare e di inventare può anche servirci in senso negativo: guardate come il GPS ci fa perdere le nostre capacità di orientamento e la nostra confidenza in noi stessi!
D. Lei parla molto di capacità di orientamento degli animali. Sono queste ugualmente condivise fra tutti i membri della stessa specie?
R. Non necessariamente. Ogni individuo ha le sue proprie attitudini. Occorre quindi veramente analizzare le capacità di un individuo ad adattarsi in funzione del contesto. Esistono delle formiche, nel deserto del Sahara, che sanno sistemarsi in modo molto preciso e autonomo, esse hanno una cartografia impressionante dei propri luoghi, sono in grado di prendere delle scorciatoie. Un parigino ne sarebbe incapace! Alcune specie hanno maggiori capacità in certi ambienti, in funzione dei vincoli ecologici o sociali nei quali si evolvono. Penso agli elefanti o agli scimpanzé. Gli elefanti della savana africana crescono in spazi immensi e spesso senza nessuna vegetazione. Per dei mesi, possono percorrere distanze molto lunghe per raggiungere una minuscola risorsa idrica. In mezzo alla foresta folta e umida, gli scimpanzé memorizzano la localizzazione dei frutti in base alle stagioni, e dei loro bisogni nutritivi. Queste capacità di orientamento restano talvolta dei misteri: persino anestetizzati e in viaggio in contenitori chiusi, la maggior parte dei piccioni viaggiatori trova la via del ritorno.
D. Come ritrovare le nostre capacità perdute? Guardando come fanno gli animali?
R. Non è solo l’osservazione degli animali che ci permetterà di riacquistare le facoltà che probabilmente abbiamo perso. La questione importante è quella del rapporto col nostro ambiente. I primi umani avevano più bisogno dei loro sensi per localizzare il cibo, trovare dei partner, scappare dai predatori, orientarsi. Alcune zone del cervello, legate all’odorato, sono in questi contesti molto più utilizzate. Probabilmente ce le abbiamo ancora, e potremmo forse riattivarle in funzione delle circostanze. Ma l’uso di queste capacità non condiziona più la nostra sopravvivenza. Se commetto un odore con l‘odorato, probabilmente non morirò. Per un animale in un ambiente naturale questo è diverso.
D. A proposito di rapporto nell’ambiente, lei mostra come degli animali che agiscono sul loro ambiente in modo ragionato.
R. Questo è il caso del giardiniere satinato. Questo uccello blu che, per sedurre, realizza una vera alcova nuziale utilizzando ciò che porta col becco. In una foresta questo significa fiori e ossa. Vicino a delle città, saranno dei tappi blu o delle cannucce blu. Il giardiniere sceglie le risorse locali e le ricicla.
D. L’adattamento degli animali alla dimensione urbana è una soluzione per proteggere la biodiversità?
R. Numerose specie animali si adattano alle città, nel senso che i loro tassi di riproduzione sono alti. Ma questo è spesso a detrimento di altre specie. Per questo non si vedono più molti passeri nelle grandi città francesi. E’ il caso di Parigi: è solo intorno a Notre-Dame che se ne trovano tanti, perché sono nutriti dai turisti.
D. L’importanza data al colore non si contraddice con la necessità di fuggire dai predatori?
R. Questo estetismo non è superfluo. Per sopravvivere bisogna riprodursi, mangiare e non farsi mangiare. Nel ragno-pavone, il maschio si dà un sacco da fare per sedurre, esegue complicate coreografie a seconda dell’orientamento della luce per evidenziare i colori del suo addome e quindi attirare l’attenzione delle femmine.
D. Ma per il kakapo (ndr. Il pappagallo notturno) è più difficile!
R. Il kakapo è un pappagallo che non vola. Per sedurre, produce per svariati mesi delle serie di “bum”, dei rumori che attirano le femmine. L’incapacità di questi uccelli a volare per sfuggire dai predatori fa temere per una loro estinzione. Per proteggerli, sono state approntate delle isole rifugio. Ma gli umani hanno dato loro troppo cibo: questo ha influenzato il sesso dei piccoli nati e sviluppato un sovrannumero di maschi. Questo mostra a che punto è difficile proteggere correttamente la biodiversità.
D. In alcuni casi, l’intelligenza serve come criterio per giudicare la necessità di proteggere.
R. E’ un criterio assurdo, sia dal punto di vista etico che da quello della biodiversità, che è molto utilizzata a proposito di sofferenza animale. Dobbiamo impegnarci molto per filmare le scimmie, ma possiamo fare tutto nei confronti degli invertebrati … eccetto il polpo, proprio perché è considerato intelligente. Non si tratta di morale, ma di buon senso. Il maltrattamento o la sofferenza animale è intollerabile qualunque sia la specie che ne viene coinvolta. Nei miei lavori non pratico nessuna sperimentazione invasiva, cerco di rendere la cattività la meno sofferente possibile, cerco di evitare che gli animali si annoino. Ma per alcune questioni scientifiche non si può fare a meno di alcuni protocolli invasivi, essenzialmente nell’ambito delle ricerche sul cervello che possono permettere di far progredire le conoscenze sulle malattie dell’Alzheimer e del Parkinson. Il dolore deve essere considerato sistematicamente. Gli animali rappresentano per noi dei modelli e delle soluzioni, non devono sparire prima che noi si abbia il tempo di scoprirli e di osservarli…
D. Come definisce il “biomimetismo”, una parola che si usa molto quando si cercano soluzioni ai problemi umani presso gli animali?
R. Il biomimetismo consiste nel riprodurre ciò che esiste nel mondo vivente. In robotica, si ragiona a partire dall’umano. La maggior parte dei robot hanno quindi cinque dita, tra cui un pollice. Ma questo non permette di fare tutto. I gamberi che sto studiando in questo momento stanno facendo cose incredibili con due piccole pinzette. Più efficace e più interessante per gli esperimenti di robotica. Si parla anche di bio-ispirazione per indicare il tentativo di sviluppare dei nuovi sistemi a partire dai quali si osserva in ambito vivente. Prendete la proboscide degli elefanti. È un arto molle e flessibile, senza scheletro, che ha forme di articolazione che cominciano ad essere scoperte e che interessano molto l’industria.
D. Alcuni animali hanno risolto i problemi di invecchiamento …
R. Alcuni sono in grado di ricreare le proprie cellule, fino a rigenerare degli organi interi, un occhio o un midollo spinale. Vi immaginate le prospettive per degli incidenti stradali? La medusa “nutricula”, che misura cinque millimetri, può anche ringiovanire. In caso di stress alimentare, o quando è troppo vecchia, essa può invertire il proprio processo cellulare. Dallo stadio di medusa, essa arriva allo stadio di polpo. Essa può sicuramente essere vittima di una malattia o di un predatore, ma possiede delle chiavi di una immortalità biologica. Non si conosce ancora lo specifico processo. Se diamo tempo agli animali, hanno molto da insegnarci. Tra gli umani, quelli che la meraviglia o altruismo non sono sufficienti a convincerli per preservare gli ecosistemi, potrebbero essere sensibili al fatto che gli animali possono salvare la nostra specie o generare profitti nell’immediato futuro.
D. Cosa possono portarci gli animali ai modi di prenderci cura di noi stessi?
R. Innanzitutto, c’è molto automedicamento nel mondo animale, negli scimpanzé o nella formica, che utilizza delle resine antibatteriche a cui l’umano potrebbe ispirarsi. Ci si può interessare a questi “farmaci” utilizzati dagli animali, e riprodurli per un uso umano. L’analisi di una molecola può essere fatta in laboratorio ad un costo accettabile. Ma le prove cliniche sono spesso costose, e i gruppi farmaceutici non sono disponibili.
D. Qual è l’animale che l’affascina di più?
R. Ho una tenerezza infinita per il pesce-palla. Senza squame o spine, si gonfia per respingere i predatori, scolpisce opere di due metri di diametro fino a trenta metri di profondità, opere che adorna di conchiglie, solo per sedurre una femmina. Mi fa venire in mente la meraviglia che è stata la mia prima motivazione a studiare gli animali. E che mi piacerebbe di poter trasmettere.
(intervista di Catherine Calvet , Thibaut Sardier, pubblicata sul quotidiano Libération del 03/01/2019)