Alta diffusione del morbillo in Israele grazie agli ‘antivax’ religiosi
All’inizio del mese di novembre un’équipe del pronto soccorso di Israele va a casa di una famiglia religiosa di Mea Shéarim, una enclave “hared” (“timorosi di Dio”) di Gerusalemme, enclavecosì radicale che si chiudono a riccio con delle barriere durante lo shabbat. I medici sono stati chiamati per soccorrere una bimba di 18 mesi che, secondo i suoi genitori, è “svenuta”. Al loro arrivo, il cuore della bimba non batte più. La famiglia, i cui componenti hanno sul loro corpo i segni acclamati del morbillo, sono chiusi in una stanza adiacente e pregano. La bimba non resusciterà.
Fatti come questi sono all’ordine del giorno in Israele, simboli della gravità dell’epidemia di morbillo che sta toccando il Paese, e più specificamente la regione di Gerusalemme e i suo quartieri ultra-ortodossi. Nel 2016, solo nove casi sono stati recensiti nello Stato ebraico, 33 nel 2017. Quest’anno, gli ultimi dati del ministero della Sanità, che si riferiscono a fine novembre, parlano di 2.000 casi, di cui più di 800 a Gerusalemme.
Il contagio ha cominciato a toccare gli Usa, dove il morbillo è stato ufficialmente eradicato agli inizi degli anni 2000. Ma lì, ancora un centinaio di casi si manifestano nei bastioni “hared” di Brooklyn e del New Jersey, e i responsabili locali puntano il dito sugli ultra-ortodossi che ritornano dopo un viaggio in Israele. Molto contagioso, il morbillo è considerato dall’Organizzazione Mondiale della salute come una delle principali cause di morte presso i piccoli bimbi, malgrado l’efficacia del vaccino contro la malattia.
Scuole
Nella gran parte dei casi, tra cui quello della bimba di Mea Shéarim, i malati non sono vaccinati, contrariamente al 96% della popolazione israeliana. “Israel Hayom”, quotidiano che fiancheggia il primo ministro Benyamin Netanyahu, si è allarmato dell’apatia delle autorità, facendo sapere questa settimana che 500 dei 600 scolari della città di Pardes Hanna-Karkur (nord di Israele) non sono stati vaccinati.
Yaakov Litzman, il vice-ministro della Sanità incaricato della questione, ha lanciato una campagna di sensibilizzazione appoggiandosi sui rabbini, mentre diminuisce l’epidemia che lui descrive come “leggera”. Questo ultra-ortodosso con la lunga barba bianca è sotto il fuoco delle critiche per aver stimato che la situazione attuale è dovuta piuttosto “al settore arabo che non a quello ‘hared’”. Asserzione fortemente smentita da Nadav Davidovitch, presidente dell’Associazione israeliana di sanità pubblica, che ricorda il tasso molto alto di vaccinazioni registrato presso la popolazione palestinese e la quasi assenza di casi presso questa comunità.
“Assassini”
Il 18 novembre, una proposta di legge che prevede una multa di 2000 shekels (un po’ meno di 500 euro), prelevata dagli assegni famigliari, contro i genitori che rifiutano di vaccinare i loro figli, è stata approvata all’unanimità dal comitato ministeriale della Knesset. Ma è poco probabile, visto che la coalizione di Netanyahu è in crisi, che sia votata presto. Nè che essa sia di per sé dissuasiva.
I media comunitari cercano di analizzare la crescita del movimento “antivax” presso gli uomini vestiti di nero. Un gruppo di influenti rabbini ha diramato un avviso religioso in cui denuncia i genitori recalcitranti come “assassini”, ché violano il principio talmudico del “pikuach nefest” che stabilisce la preservazione della vita umana come prioritaria rispetto ad ogni altra considerazione, compresa quella religiosa.
Ma alcuni settori minoritari del movimento “hared” si tirano indietro richiamando la volontà di Dio. Una miscela di preoccupazioni popolari (compresa la convinzione che il vaccino causi l’autismo) e la sfiducia multi-secolare del mondo moderno e delle autorità. Alcuni avanzano anche ragioni sociali dietro l’epidemia, essenzialmente le condizioni di vita insalubre dei “timorosi di Dio” e la loro difficoltà ad accedere all’informazione, la maggior parte della quale passa attraverso Internet.
(articolo di Guillaume Gendron, corrispondente da Tel Aviv per il quotidiano Libération, pubblicato nell’edizione del 28/11/2018)
nella foto: il vice-ministro israeliano della Sanità Yaakov Litzman, nel 2016 vicino a Tel Aviv (foto AP)