Residenze sanitarie assistenziali, Quale destino per anziani e disabili dopo la sentenza della Corte Costituzionale
Gli oneri, relativi al costo dei servizi a favore delle persone con disabilità grave, anziane non autosufficienti, e finanche di persone in stato vegetativo, prestazioni per lo più essenziali e che involvono direttamente la tutela della salute dell’assistito, sono, quasi sempre, ingentissimi e, generalmente, non solo non sono sopportabili con le sole risorse dell’assistito, ma altresì incidono in maniera insopportabile sulle risorse familiari.
Non stupisce quindi se in questi anni si è assistito ad una marea montante di ricorsi e decisioni in punto di partecipazione al costo, che ha messo in luce la parcellizzazione, la mancanza di proporzionalità quando non l’abnormità (1) ed illogicità (2) dei criteri adottati da numerosissimi regolamenti comunali.
In questa situazione, che va aggravandosi di pari passo con il protrarsi della crisi economica, una vera e propria ancora di salvezza per tantissime famiglie è stata rappresentata dal principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito di cui all’art. 3 co. 2 ter D.Lgs 109/1998.
Con tale disposizione, introdotta con il D.Lgs. 130/2000, il legislatore offriva un correttivo alla disparità di trattamento che deriva da un’applicazione indiscriminata dell’ISEE anche ai nuclei familiari che accolgono persone con disabilità grave e anziane non autosufficienti, con la valorizzazione di reddito e patrimonio di tutti i componenti di quel nucleo familiare anagrafico di appartenenza (che quindi poteva comprendere anche fratelli, cognati o conviventi more uxorio dei fratelli e loro figli (3) a fronte della situazione di dipendenza derivante dalla non autosufficienza è evidente che la prima, ed immediata conseguenza di un sistema non corretto, è quella di disincentivare l’accoglienza, e, paradossalmente, di favorire così l’istituzionalizzazione.
Significativamente, nel preambolo della Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità, si evidenzia che la disabilità grave è un importante fattore di impoverimento delle famiglie, sottolineando il fatto che la maggior parte delle persone con disabilità vive in condizioni di povertà, ed a questo proposito riconoscendo l’urgente necessità di affrontare l’impatto negativo della povertà sulle persone con disabilità.
Partendo da questi assunti, la giurisprudenza, ormai pressoché unanime, aveva ravvisato nel principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito una diretta attuazione della Convenzione di New York e dei principi, ivi contenuti, di non discriminazione, dignità intrinseca, autonomia individuale e indipendenza della persona con disabilità (4).
Come può esserci autonomia individuale se la scelta della prestazione, non deve essere fatta solo in punto di appropriatezza, ma dipende dalla disponibilità di tutti i familiari di farsi carico di, spesso ingenti, oneri della retta, o anche solo dalla loro volontà di presentare l’ISEE (5).
Che dignità c’è nel dover elemosinare dai parenti il denaro necessario a far fronte agli oneri di prestazione indispensabili per una vita dignitosa, oltre che per la stessa salute?
Quanto al principio di indipendenza della persona con disabilità è declinato dalla giurisprudenza nel senso di ritenere illegittimi criteri che rischiano di compromettere ogni minima opportunità di gestione del proprio reddito in autonomia (6).
Non è, infine, discriminatorio che le prestazioni afferenti l’educazione e la salute, siano offerte alle persone con disabilità con oneri abnormemente superiori rispetto a tutte le altre persone?
Proprio con riferimento ai servizi a tutela della salute – e quindi anche a tutte le prestazioni sociosanitarie, siano esse sanitarie a rilevanza sociale o sociali a rilevanza sanitaria – peraltro, la Convenzione di New York, secondo l’interpretazione della giurisprudenza (7), ne richiede l’erogazione gratuita o a costi accessibili.
Il principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito, si afferma quindi come un principio di altissima civiltà giuridica e, forse proprio perché troppo avanzato ha trovato, sin dalla sua introduzione, enormi resistenze, testimoniate, appunto dalla mole del contenzioso.
Le resistenze maggiori, in effetti, sono di tipo ideologico: tipica l’affermazione “non è giusto che il figlio di Agnelli paghi quanto il figlio dell’operaio” che dimentica sia che anche, e soprattutto, alle famiglie non abbienti sono chiesti oneri spesso intollerabili, sia che nessuno si scandalizza se al “figlio di Agnelli” sono garantiti scuola e cure dal servizio pubblico a carico dei contribuenti; ancor più odiose, ma spesso, ahimé, sentite, da Amministratori di ogni colore, le obiezioni del tipo è un problema vostro, sono figli vostri, li avete messi al mondo voi” che si saldano con la caccia alle streghe dei falsi invalidi.
A ciò si aggiunge il braccio di ferro tra istituzioni sul piano finanziario, che vede, pur con le semplificazioni del caso, Comuni e Regioni invocare uno specifico finanziamento, che lo Stato ritiene di aver ampiamente compensato con l’aumento della quota sanitaria derivante dall’approvazione dei LEA, quota sanitaria che però, come accertato da numerose pronunce spesso e volentieri e con i più svariati artifici non viene rispettata dalle Regioni (8).
In effetti, l’art. 3 co. 2 ter D.Lgs 109/1998, molto articolato, prevede che limitatamente alle prestazioni sociali agevolate assicurate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura sociosanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave, di cui all’art. 3, co. 3, L. 5.2.1992, n. 104, accertato ai sensi dell’articolo 4 della stessa legge, nonché a soggetti ultrasessantacinquenni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle aziende unità sanitarie locali, le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri per la solidarietà sociale e della sanità. Il suddetto decreto e’ adottato, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8D.Lgs 28.8.1997 n. 281, al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito, anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione, e sulla base delle indicazioni contenute nell’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’articolo 3-septies, co. 3, D.Lgs 30.12.1992, n. 502, e successive modificazioni.
Il rinvio a ben due decreti attuativi di cui solo il secondo – l’atto di indirizzo e coordinamento di cui all’art. 3-septies, co. 3, D.Lgs 502/1992 – è stato approvato con D.P.C.M. 14.2.2001, mentre il primo prevedeva una preventiva intesa con la Conferenza unificata e l’apparente contraddittorietà tra la finalità di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e l’espresso rinvio a prestazioni residenziali a ciclo continuativo hanno consentito di insabbiare il provvedimento per ben 12 lunghi anni!
La giurisprudenza sin qui sedimentatasi, non volendo far premio dei palesi intenti ostruzionistici dei Comuni (9) aveva superato questo ostacolo, da una parte riconoscendo natura di livelli essenziali delle prestazioni che devono esser garantiti su tutto il territorio nazionale e come tali prevalgono sull’eventuale disciplina regionale difforme ai criteri di accesso alle prestazioni stesse, e quindi anche all’ISEE (10) e dall’altra affermando l’immediata precettività della disposizione anche in assenza del previsto decreto attuativo.
Ora la Corte Costituzionale, investita di problematiche connesse al coordinamento tra la normativa statale ISEE e quelle regionali, con due diverse sentenze pubblicate entrambe il 19.12.2012, ha prospettato una soluzione che pur riconosce la centralità del ruolo della Conferenza unificata Stato-Regioni-autonomie locali, parte da presupposti completamente diversi e, in aprte contraddittori.
La prima decisione (sentenza 296/2012), infatti, nega che i criteri di cui al D.Lgs 109/1998 possano essere considerati livelli essenziali delle prestazioni sociali (LIVEAS) ai sensi dell’art. 117 co.2 lett.m), sul presupposto che la nuova disciplina per l’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai servizi sociali di cui all’art. 46 co. 3 L. 289/2002 è rimasta inattuata, il che è ancor più grave, tenuto conto del rilievo che l’art. 117 co. 2 lett. m) Cost. riconosce alle prestazioni concernenti i diritti sociali che dovrebbero essere garantite su tutto il territorio nazionale.
Viene, così, ritenuta non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal TAR per la Toscana, in riferimento al solo art. 117, co.2, lett. m), Cost., dell’art. 14, co. 2, lett. c), L.R. Toscana 66/2008 che prevede nel caso di prestazioni di tipo residenziale che la quota di compartecipazione dovuta dalla persona assistita ultrasessantacinquenne sia calcolata tenendo conto altresì della situazione reddituale e patrimoniale del coniuge e dei parenti in linea retta entro il primo grado derogando espressamente alla disciplina ISEE nazionale, ancorché solo in via transitoria, e in attesa della definizione dei livelli essenziali di assistenza sociale (LIVEAS) e del loro relativo finanziamento.
Per contro, la seconda decisione (sentenza 297/2012) ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del D-L. 201/2011 nella parte in cui non prevede che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ivi menzionato sia emanato d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 D.Lgs 281/1997, attraverso due passaggi argomentativi: a) l’inquadramento della disciplina dell’ISEE nella competenza esclusiva dello Stato prevista dall’art. 117, co.2, lett. m), Cost., in tema di LIVEAS; b) la necessità della collaborazione della Regione nella predisposizione, da parte dello Stato, dei LIVEAS.
Il D.Lgs 109/1998, approvato prima della riforma del titolo V della Cost., per la Corte, era da includere, anche in forza del rinvio operato dalla L. 328/2000 tra i princípi fondamentali della materia, ora una sua modifica che importa la predisposizione di indicatori differenziati, proprio perché correlata alla contestuale individuazione di una gamma diversificata di tipologie di prestazioni assistenziali, implica la specifica determinazione del livello essenziale di erogazione delle prestazioni medesime. Essa, infatti, si risolve nella identificazione degli «standard strutturali e qualitativi delle prestazioni, da garantire agli aventi diritto su tutto il territorio nazionale in quanto concernenti il soddisfacimento di diritti civili e sociali tutelati dalla Costituzione.
Se viene ammesso, per la legislazione regionale di far ricorso a criteri ulteriori ex art. 3 co. 2 D.Lgs 109/1998, quale spazio rimane per le discipline regionali completamene difformi, quali il Fattore Famiglia Lombardo, il DURP alto-atesino, l’ICEF trentino?
Entrambe le decisioni sono, peraltro, concordi nell’assegnare un ruolo centrale alla Conferenza unificata Stato Regioni Autonomie locali di cui all’art. 8 D.Lgs 28.8.1997, n. 281
Se una necessaria intesa è imposta dalla sentenza 297/2012 per qualsiasi riforma della disciplina statale dell’ISEE che voglia imporsi sulla legislazione regionale quale livello essenziale ex art. 117 co. 2 lett. m), è dall’inerzia di tale organismo, che la sentenza 296/2012 fa discendere l’inapplicabilità dell’art. 3 co.2 ter D.Lgs 109/1998 e la possibilità per la Regione Toscana di adottare, in via transitoria, una disciplina difforme.
Le decisioni in commento, hanno ad oggetto, peraltro, esclusivamente il metodo, la necessità dell’Intesa Stato-Regioni-Autonomie locali, nessuna valutazione viene fatta dalla Corte in relazione ai parametri costituzionali concernenti il merito e, a tacere degli artt. 3 e 53 Cost., in particolare, dei sudelineati principi della Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità, che, come evidenziato dalla medesima Corte costituzionale nella, pure recentissima, sent. 26.10.2012 n. 236, vincolano l’ordinamento italiano con le caratteristiche proprie del diritto dell’Unione europea a seguito della ratifica da parte dell’Unione Europea a seguito dell’adesione con decisione del Consiglio 26.11.2009 n. 2010/48/CE.
Viene così messa a nudo la gravità dell’inerzia della Conferenza Stato Regioni (11): l’ostruzionismo che ha insabbiato il decreto attuativo dell’art. 3 co. 2 ter D.lgs 109/1998 pone l’Italia nella non invidiabile situazione di conculcare i diritti riconosciuti alle persone con disabilità dalla Convenzione di New York.
Privata dell’alibi giudiziario, la Conferenza unificata va incalzata in ogni sede e con ogni strumento messo a disposizione dall’ordinamento posto che, omettendo di fare il proprio dovere, nega non solo l’erogazione, ma la configurazione stessa delle prestazioni essenziali.
Sarebbe, infatti, intollerabile che i rappresentanti dell’organismo responsabile della violazione Convenzione di New York possano continuare a sedere al tavolo dell’Osservatorio che dovrebbe tutelare proprio il rispetto della stessa Convenzione.
Non si può non denunciare quella che si appalesa come una grave violazione dei diritti umani, se necessario anche attraverso il ricorso agli organismi deputati ad accertare tali violazioni, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo allo stesso Comitato Per i Diritti delle Persone con Disabilità (12)
La stessa Corte costituzionale, del resto, poco prima delle decisioni in commento, con sentenza 11.10.2012 n.223 aveva tutelato dall’aggressione alcune componenti del trattamento economico dei magistrati collegate ai principi di autonomia ed indipendenza della magistratura (13), la cui riduzione, in sé, in aggiunta alla mancata rivalutazione, determinerebbe un ulteriore vulnus della Costituzione.
Ben più grave, appare quindi la violazione del principio di indipendenza delle persone con disabilità che ne mina la stessa sopravvivenza.
Ed è da qui, e dal merito delle ragioni sottostanti al principio che il mondo della disabilità deve ripartire, da quelle battaglie che avevano portato a sancire il principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito in una legge dello Stato.
Dalla pretesa dell’integrale rispetto dei LEA sanitari, già sono stati definiti e finanziati nel rispetto delle prerogative statali e regionali e quindi assolutamente esigibili (il che tra l’altro, renderebbe altresì ben più sostenibile anche per gli enti locali l’applicazione del principio di evidenziazione della situazione economica del solo assistito).
Dall’ormai improcrastinabile definizione e finanziamento certo di livelli essenziali dell’assistenza sociale (LIVEAS) sia a livello statale che a livello regionale, non potendosi più tollerare, specie in un momento come questo, di lasciare le persone con disabilità alla mercé dei tagli indiscriminati degli enti locali (14).
Note
1 – Non può essere definita diversamente la pretesa di oltre € 1.000 mensili per la frequenza di un centro diurno per disabili (come nella recentissima TAR Milano, Sez. III, sent. 17.12.2012 n. 3065 e magari a fronte di un ISEE familiare di € 16.000, come in TAR Milano, Sez. I, sent. 24.3.2011 n. 784), ma l’esperienza annovera anche casi di cessione alla struttura della casa famigliare per pagare 5 anni di Comunità Socio-Sanitaria, di tentativi di estorcere testamenti a favore del Comune, di famiglie indebitate con usurai per pagare la retta della RSA di persone anziane in coma.
2 – Si pensi alle rette fatte “ad occhio” quali emergono già in TAR Brescia, sent. 27.4.2004 n. 472, o alla duplicazione dei costi a carico della famiglia come in TAR Brescia, sent. 5.3.2004 n. 179
3 – Con l’ulteriore corollario che in tal modo si ostacola l’uscita dal nucleo dei figli maggiorenni – il loro stipendio, infatti, determinando la ricchezza familiare andrà ad alimentare il pagamento delle rette, rendendo difficoltoso accantonare quel minimo per costituire una famiglia autonoma.
4 – E’ proprio in questa materia che la giurisprudenza ha offerto, la prima e, anche quantitativamente più consistente applicazione della Convenzione, a partire da TAR Brescia, sent. 2.4.2008 n. 350 sino alle più recenti decisioni del Consiglio di Stato che hanno evidenziato come la Convenzione si basi sulla valorizzazione della dignità intrinseca, dell’autonomia individuale e dell’indipendenza della persona disabile, specie laddove (art. 3) impone agli Stati aderenti un dovere di solidarietà nei confronti dei disabili, in linea con i principi costituzionali di uguaglianza e di tutela della dignità della persona che, nel settore specifico, rendono doveroso valorizzare il disabile di per sé, come soggetto autonomo, a prescindere dal contesto familiare in cui è collocato e pure se ciò può comportare un aggravio economico per gli enti pubblici (Cons. Stato, sentt. 16.3.2011 n. 1607, 16.9.2011 n. 5185, 10.7.2012 nn. 4071, 4077, 4085, 23.8.2012 n.4594).
5 – Aprendo gravi problemi di responsabilità oggettiva: se uno dei membri del nucleo non vuole presentare la dichiarazione, infatti, le conseguenze ricadono in via diretta ed esclusiva sull’assistito.
6 – TAR Brescia, sent. 2.4.2008 n. 350.
7 – A partire da TAR MILANO, sent. 14.5.2010 nn. 1487 e 1488 conf. da Cons. Stato, sentt. 16.3.2011 n. 1607 e 16.9.2011 n. 5185
8 – Appare significativo osservare come le Regioni più restie a dar seguito alle indicazioni del D.Lgs 109/1998 in relazione alla partecipazione al costo della componente assistenziale dei servizi sociosanitaria, siano state condannate anche per il mancato rispetto della complementare componente sanitaria dei medesimi servizi: così TAR Firenze, sent. 14.4.2011 n. 694 ha messo in luce come la Regione tenti di coprire oneri sanitari delle RSA con fondi di natura sociale, TAR Brescia, sent. 17.10.2011 n. 1453 ha evidenziato il sistematico mancato rispetto della quota sanitaria del 70% nei servizi per persone con disabilità grave, TAR Milano, sent. 20.5.2010 n. 1584 ha censurato addirittura una situazione di coma considerata meramente sociosanitaria, TAR Genova, ord. 25.5.2012 ha sospeso una delibera regionale non rispettosa della ripartizione prevista dai LEA per le RSA.
9 – Come espressamente argomentato da TAR Milano, sentt. 24.3.2011 n. 784 e 785, e 10.9.2008 n. 4033, ma anche da Cons.Stato. sent. 26.1.2011 n. 551.
10 – Sulla base dell’intuizione Cons.Stato, ord. 14.9.2009 n. 4582.
11 – Non si può non dimenticare che il provvedimento – che, per il vero, non conteneva alcun limite, ed anzi dava una piana applicazione alla legge – predisposto dal Ministero delle politiche sociali e già trovata l’intesa con il Ministero del Tesoro, giace alla Conferenza Stato Regioni dal 2004!
12 – Che nella 7ma sessione del 27.4.2012 ha adottato una raccomandazione nei confronti della Svezia
13 – Dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, co. 2, D.-L. 78/2012, nella parte in cui dispone che i trattamenti economici complessivi superiori a € 90.000 lordi annui siano ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a € 150.000, nonché del 10% per la parte eccedente € 150.000.
14 – Sul punto non si può non segnalare la recentissima Cons. Stato, sent. 14.12.2012 n. 6431 che ha stigmatizzato il mancato rispetto della necessaria priorità nell’utilizzo di risorse comunali destinate all’assistenza dirottandole prima su cose certo utili ed importanti quale il pranzo di Natale per gli anziani o il trasporto degli anziani a i soggiorni estivi, anziché sulle prestazioni individuate dall’art. 22 L. 328/2000.
* avvocato, collaboratore Aduc