Narcosala in Svizzera
A Bienne, il Cactus consente a 500 tossicodipendenti di consumare, e ne approfitta per fare prevenzione.
E’ un locale con diversi ingressi. Alcune persone aspettano al pianterreno, attorno ad un tavolo, davanti ad un distributore di snack e di caffe’. Siamo al Cactus, una delle narcosale nel centro della citta’ di Bienne, in Svizzera. Entrando, si sente un odore di etere.
Al primo piano, i consumatori cambiano le loro siringhe usate con delle nuove. Luci verdi e rosse indicano i posti disponibili. Come un vaso, un locale permette di fumare o inalare dei prodotti stupefacenti. Qui si “da’ la caccia al drago”, come si dice, cioe’ si consuma eroina su dell’alluminio. Un altro spazio e’ dedicato alle iniezioni.
I consumatori vengono con la propria droga, che hanno acquistato per strada. Il prodotto (cocaina, eroina, …) viene registrato, le quantita’ sono controllate. “Tutto e’ fatto perche’ essi assumano meno rischi possibili”, spiega Eric Moser, responsabile regionale di “Réseau Contac”, da cui dipende Cactus. Nove persone possono consumare in contemporanea (quattro posti per inalare, cinque per l’iniezione). “Si va, si viene, e’ un po’ come in un negozio, un giro continuo”, dice Moser.
Nella sala delle iniezioni, dei neon installati sopra i tavoli permettono di meglio vedere le vene. Ai consumatori e’ vietato di iniettarsi mettendo l’ago nel pene o nel petto, ma e’ autorizzato farlo sull’ano. Lo scopo del centro e’ di “accompagnare, consigliare i consumatori, e di facilitare loro l’accesso all’insieme del corpo medico-sociale che e’ addetto a questa terapia”. Per molti tossicodipendenti, lo scopo principale non e’ evitare l’astinenza. “Si intraprende con loro un lavoro di motivazioni e di approccio alle misure complementari per la stabilizzazione, integrazione ed astinenza”, scrive il Résau Contact. Con un costo di 800.000 franchi svizzeri (circa 650.000 euro), la struttura conta 500 iscritti -con il 75% di uomini e una media di 30-35 anni di eta’- in un bacino che coinvolge 180.000 persone.
All’interno del centro, i consumatori portano una tessera con la loro fotografia e un codice a barre, ma non il loro nome. Con regolarita’, dei poliziotti non in divisa effettuano controlli e si assicurano che non ci sia del traffico. Agenti di sicurezza sono anche all’ingresso, con modi amichevoli verso i consumatori. “Sono la’ per assicurare il vicinato”, spiega Moser. Ma sono li’ anche per intervenire nel caso ce ne fosse bisogno. Il Cactus e’ dotato di una terrazza esterna chiusa, in modo che nessun consumatore debba aspettare davanti all’ingresso, evitando cosi’ di alimentare i timori dei residenti della zona.
Quando ha iniziato la sua attivita’, dodici anni fa, il centro ha dovuto affrontare una situazione non definita. In seguito e’ stato costruito un apposito immobile. Il Cactus ha organizzato una riunione d’informazione ed ha invitato i residenti della zona. “E’ stata una serata calda, piena di emozioni e di timori -sottolinea il direttore-. Abbiamo potuto dimostrare la collaborazione intersettoriale con l’amministrazione comunale, la polizia e l’associazione”. C’era paura per i tossicodipendenti e il timore di vedere siringhe ovunque.
Ma oggi, cosa dicono i consumatori? Julie, 24 anni, con le braccia piene di buchi di siringhe. Viene tutti i giorni al Cactus, non usufruisce dell’aiuto sociale, dorme presso degli amici e si prostituisce o ruba per sopravvivere. La giovane donna soggiorna regolarmente in prigione e li’ trova accoglienza e conforto: “Io posso parlare loro della mia vita, se ho dei problemi oppure ho bisogno di aiuto”, spiega.
Ecco Valérie, 35 anni, che viene circa una volta alal settimana per, dice lei, “fare il suo consumo”. Valérie ha una vita famigliare. Trova che prima il centro fosse “piu’ conviviale”, quando lei aveva un ristorante. Secondo lei, il vantaggio di una struttura del genere e’ che “non va piu’ sulle scale o nelle strade piene di persone (per consumare -ndr)”.
Anch’egli consumatore abituale, Jacques, 52 anni, trova che i suoi compagni di galera siano talvolta “un po’ difficili da sopportare”. “A meno che non ci sia della coca, sempre piu’ persone diventano idiote”, dice. “Io pago tutti i giorni il fatto di essere tossicodipendente… In questo ambiente, se non si apre la bocca, tu ti fai massacrare”. Jacques ha un programma sostitutivo a base di ritalin che gli ha “permesso di salvarsi dalla cocaina”. Ma insiste: “Ma e’ duro vincere”: Molti consumatori hanno problemi psichici, e la droga da’ piu’ forza alle loro crisi. “Vivono dei momenti molto difficili -dice Moser-. Si cerca di offrire loro il mezzo per non essere in dei ghetti insalubri. E’ un bene per loro e per la societa’ in generale”.
(articolo di Didier Arnaud, pubblicato sul quotidiano Liberation del 11/10/2013)