La falsa buona notizia di Mark Zuckerberg
La buona notizia della settimana secondo la quale Mark Zuckerberg e sua moglie Priscilla Cham cederanno il 99% delle loro azioni Facebook alla loro nuova fondazione caritatevole, non e’ una buona notizia.
Sicuramente, il desiderio dei super-ricchi di “ridare alla comunita’” e’ normale e i comportamenti conseguenziali sono benvenuti. Ma e’ cio’ a cui stiamo assistendo che ci deve fare preoccupare. La decisione della ricchissima coppia, ben lungi da essere la sola, testimonia in modo molto evidente l’emergenza di un capitalismo filantropico che noi non abbiamo motivo di festeggiare.
I critici hanno gia’ evidenziato i vantaggi fiscali potenzialmente legati ad una manovra del genere: quando i super-ricchi versano gran parte delle proprie immense fortune a delle fondazioni, e’ lo Stato che si vede privato di importanti introiti fiscali. Un recente studio fatto da altrettanti generosi cittadini americani, omette il fatto che la loro esistenza e’ strutturata grazie a pubbliche istituzioni che sono ben lungi dall’essere generose. Non e’ dunque un fatto eclatante che l’emergenza delle mega-fondazioni si faccia quando c’e’ l’austerita’. Nel capitalismo filantropico sono i poteri pubblici che vedono il loro campo d’azione che si restringe (sempre di piu’). Pertanto Zuckerberg ha risposto a queste critiche spiegando che la sua fondazione, poiche’ Limited liability corporation, non ne ricava nessun vantaggio fiscale immediato.
Cio’ che maschera questo approccio e’ -piuttosto e soprattutto- la questione delle ineguaglianze. Le origini di queste ineguaglianze. Come lo hanno dimostrato i lavori di economisti come Thomas Piketty, Anthony Atkinson e altri, queste ineguaglianze non possono essere esplicitate che attraverso l’emergenza di qualche self-made men piccolo genio delle nuove tecnologie, che vorrebbe generosamente ridonare alle comunita’. Esse si spiegano attraverso le forse dei mercati che tendono a generare ineguaglianze di redditi, dinamiche di accumulazione e concentrazione del patrimonio, disinvestimenti dello Stato, abbandono di politiche fiscali aggressive e l’emergenza di una classe di super quadri che devono le loro alte remunerazioni al loro potere di negoziazione piuttosto che alle loro performance. Le forze che conducono alla concentrazione della ricchezza nelle mani di qualcuno, sono potenti. E ci sono in seguito gli effetti perversi delle ineguaglianze. Sicuramente, Zuckerberg, Chan, Gates e altri ci dicono che la sanita’ migliora, che la conoscenza aumenta, che la poverta’ diminuisce, etc. E’ un’ennesima versione dell’idea di un “deflusso economico” secondo il quale l’attivita’ dei super-ricchi, diretta verso il profitto o la filantropia, crea benefici per tutti, e soprattutto per quelli piu’ demuniti. Ma essi dimenticano sicuramente che la conoscenza e’ molto male ripartita, che alcuni gruppi, gia’ economicamente sfavoriti e socialmente senza valore, sono sistematicamente piu’ toccati da dei problemi sanitari, poiche’ c’e’ un “gradiente (determinante) sociale” della sanita’. Essi dimenticano che le ineguaglianze definiscono la societa’, i rapporti sociali, il vivere insieme.
E le ineguaglianze sono anche politiche. Nel capitalismo filantropico, se perseguire degli scopi sociali e’ lasciato a qualche mega-fondazione, questo conferisce ai piu’ ricchi una influenza sproporzionata sulle decisioni che dovranno essere prese collettivamente. Il risultato sara’ un gruppo di mega-fondazioni che perseguono diversi obiettivi e che definiscono i loro stessi mandati, senza un autentico dibattito democratico.
Le ineguaglianze sono il flagello delle nostre societa’, e il rimedio delle mega-fondazioni e’ inappropriato. Il problema e’ che queste fondazioni sono di fatto il prodotto di societa’ profondamente inegualitarie, e loro cercano ironicamente di trovare soluzioni generati proprio alle ineguaglianze.
Purtroppo, nel capitalismo filantropico, le ineguaglianze notevoli che contraddistinguono le nostre societa’ sono viste come normali, e fanno appello essenzialmente al nostro senso di carita’. Ma queste ineguaglianze sono ingiuste, e dovrebbero sollecitare il nostro senso di giustizia sociale. E cosi’ anche per le nostre istituzioni pubbliche. L’emergenza di tali fondazioni non e’ quindi una buona notizia. Essa e’ piuttosto sintomatica di un ritorno ad una struttura sociale degna dei peggiori anni del capitalismo della Belle Epoque.
(articolo di Pierre-Yves Néron, docente di etica economica e sociale all’Universita’ cattolica di Llle, pubblicato sul quotidiano Libération del 05/12/2015)