Ambiente. La nostra alimentazione e’ la chiave maggiore per proteggere la biodiversita’
Un mese dopo che si e’ tenuta a Marrakech la COP22 (la 22ma conferenza dell’ONU sul cambiamento climatico), il mondo si riunisce di nuovo per parlare di ambiente. Ma questa volta questo accade a Cancun, in Messico. E questa volta si parla di biodiversita’. La 13ma conferenza delle parti della Convenzione sulla diversita’ biologica, soprannominata “COP13 biodivesita’”, e’ partita il 4 dicembre e durera’ fino al 17. Nell’indifferenza generale. Intanto, le specie e gli ecosistemi spariscono ad un ritmo crescente e inedito. L’ultima in termini di tempo: il caribu’ e la farfalla monaca, ormai in via di estinzione. L’urgenza c’e’, cosi’ come per il clima. E le questioni in gioco sono altrettanto cruciali, essendo clima e biodiversita’ legati fra di loro.
Incontro con Yann Laurnas, direttore biodiversita’ all’Istituto dello sviluppo durevole e delle relazioni internazionale (Iddri), a Parigi.
D. Una COP biodiversita’, e’ l’equivalente di una COP sul clima?
R. Si’, essa inizia dopo tre convenzioni che si sono tenute a Rio de Janeiro durante lo storico Summit della Terra del 1992. Ce n’e’ una sul clima, una sulla desertificazione e questa qui, sulla diversita’ biologica. Questa convenzione riunisce quasi tutto il Pianeta, con l’eccezione degli Stati Uniti, George Bush senior non l’aveva fatta ratificare. Per questa, i nostri governi si sono impegnati a fermare la distruzione del nostro patrimonio naturale comune. Essi si ritrovano ogni due anni, a differenza della conferenza sul clima che si tiene ogni anno.
D. Che cosa ci si deve aspettare da questa COP?
R. Nello stesso tempo, niente grandi cose o molto. Niente grandi cose perche’ questa convenzione lascia mano libera agli Stati di portare avanti le loro politiche. Molto perche’ durante questo tipo di eventi, la comunita’ internazionale forgia le sue idee comuni su quella che deve essere la politica della biodiversita’. E in maniera diffusa, queste idee influiscono sulle politiche dei governi in materia di conservazione, di sviluppo, di ricerca. Diverse questioni sono apparse durante le COP del passato, e sono diventate oggetto di negoziati importanti e di impegni crescenti. Per esempio, il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni e delle comunita’ locali e’ stato associato ad ogni uso del patrimonio biologico e genetico che si trova sulle loro terre e che ha provocato, per esempio in Francia ad alcune norme come la “legge biodiversita’”. O anche l’uso di strumenti economici per remunerare coloro che si impegnano per la biodiversita’.
D. Le precedenti COP non hanno consentito di supplire alla perdita di biodiversita’.
R. L’hanno messa nell’agenda mondiale. Certo, questo non e’ vincolante, e’ un sistema di annunci e di impegni senza garanzie. Ma senza di questo, la biodiversita’ sarebbe rimasta una questione di specialisti. Non facciamo l’errore di credere che il quadro politico posto dalla convenzione e le successive COP non siano in causa: se tutto il mondo rispondesse alle ambizioni che li’ vengono poste, noi potremmo proteggere il nostro patrimonio naturale e vivere piu’ ricchi e piu’ uguali sul Pianeta. Non e’ perche’ e’ troppo timido che ci sono pochi effetti, e’ piuttosto perche’ non e’ molto seguito. E’ una responsabilita’ collettiva di opinioni, di consumatori, di imprese e di governi.
D. Non c’e’ quindi urgenza cosi’ come per il clima?
R. Un articolo di Science pubblicato quest’anno conferma che il Pianeta e’ cambiato in tutti i suoi parametri dopo gli anni 50, cosi’ fortemente come non lo era mai stato nelle precedenti ere geologiche. Noi abbiamo creato una “era artificiale”, che trasforma la bassa biosfera immobilizzandola, e non e’ che l’inizio. Alcuni parlano di sesta estinzione perche’ e’ la velocita’ e l’accelerazione delle trasformazioni che colpisce: mille volte superiore a quella che sarebbe naturalmente, stima un articolo pubblicato nel 2015 su Conversation Biology. La lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura, annovera circa ventimila specie minacciate nel mondo. Questo non rappresenta al momento che qualche percentuale delle specie del Pianeta, su un totale che non si conosce bene. Ma questo accade ad una velocita’ tale che noi possiamo temere che la diversita’ di oggi sia spazzata via in qualche decennio o secoli.
Avrete notato che non avete praticamente piu’ bisogno di pulire il vostro parabrezza dopo un viaggio attraverso la Francia? Solo venti anni fa avreste ucciso una quantita’ di insetti, e il vostro contributo all’erosione della biodiversita’ avrebbe potuto essere marginale! Questi insetti non sono ancora scomparsi del tutto, si possono trovare nelle aree protette e, per i piu’ rari, nei laboratori. Ma la maggior parte dei nostri paesaggi rurali “ordinari” ne hanno sempre meno. Nel Sud, le foreste tropicali e le savane, fantastiche riserve di diversita’ naturale, si vanno riducendo ad un filo. Nel Nord, sono i luoghi aperti, le zone umide, i prati naturali gli ecosistemi che fanno da blocco.
D. Come spiegate il fatto che queste urgenze siano cosi’ poco comprese?
R. Al momento, nessuna catastrofe in grande scala e’ legata, per l’opinione pubblica, alla perdita della biodiversita’. Noi crediamo ancora troppo spesso che proteggere la biodiversita’ significa conservare una sorta di collezione che interessa solo gli amanti della natura e delle sue bellezze. Intanto, l’immensa maggioranza degli umani vive in delle societa’ fondamentalmente dipendenti da equilibri della natura. Siamo solo all’inizio di questo grande movimento di erosione e semplificazione planetaria, e non abbiamo consapevolezza del legame tra il nostro modello di vita e gli ecosistemi.
Inoltre, proteggere la biodiversita’ rinvia ad una infinita’ di scelte di ogni tipo, che non sono impossibili ne’ necessariamente dolorose, ma numerose e difficili da legare fra di loro e con la diversita’ biologia: cambiamento della nostra alimentazione, scelte su cio’ che consumiamo, seminiamo e piantiamo, del modo in cui costruiamo le nostre case, le nostre strade, ome utilizziamo i prodotti dell’industria, come produciamo la nostra energia, … Tutto concerne la biodiversita’. Per cui, non c’e’ un messaggio semplice ed univoco, c’e’ una grande quantita’ di cambiamenti, piccoli e grandi, che l’opinione pubblica deve progressivamente fare propria e sostenere, cosa che non puo’ che avvenire lentamente.
D. Come sensibilizzare piu’ persone possibile?
R. Da diverso tempo, gli esperti dimostrano a che punto la nostra economia faccia riferimento, per una larga parte, sui servizi che ci rendono gli ecosistemi, come le api che impollinano i nostri frutteti, le pianure alluvionali che proteggiamo dalle inondazioni e gli oceani che danno nutrimento a regioni intere.
Evidentemente, questo non basta piu’, perche’ i primi segnali di disequilibrio non sono legati fra di loro, e la caduta che e’ cominciata non e’ ancora molto visibile.
Puo’ darsi, per stimolare gli spiriti, che bisognerebbe mostrare a cosa assomiglieranno i nostri paesaggi tra qualche decennio. Questo porrebbe la questione fondamentale: vogliamo un Pianeta ultra semplificato, omogeneizzato, banalizzato, senza vita selvaggia, ma anche senza insetti, senza rane, senza uccelli agricoli (la paura di una “primavera silenziosa” che ha mostrato i primi allarmi ambientali negli anni 70)? Vogliamo potere trovare ogni anno dei nuovi prodotti chimici, a rischio della nostra salute, per difendere un sistema di specie artificiali di coltivazioni e di bestiame che saranno tutta la nostra alimentazione e che saranno sempre di piu’ vulnerabili agli attacchi dei parassiti che vi si saranno adattati?
Bisogna anche, secondo me, lavorare per mostrare come e’ possibile produrre e consumare differentemente per rispettare gli equilibri naturali. Bisogna mostrare che non si tratta di sconvolgimenti radicali. Si tratta di favorire i modelli economici e i modi di consumo che rispettano gli equilibri naturali. Ce ne sono molti, ma sono marginalizzati dalle soluzioni piu’ intensive, industrializzate, e soprattutto sono poco sostenuti dai nostri politici e dalle nostre abitudini di consumo. Io sono convinto che e’ possibile produrre una alimentazione variegata e sana, che risponda ai bisogni del Pianeta, arricchisca i contadini e si inserisca negli equilibri naturali. Questo necessita di trasformazioni, significative ma fattibili. Per il clima, molte persone non dicono oggi, come accadeva venti anni fa, che la nostra scelta sia tra il nucleare (o il carbone) e la candela. Nello stesso tempo, la nostra scelta di oggi non e’ tra l’hamburger industriale e la fame. Tocca a noi dimostrarlo.
D. La COP13 sara’ inserita quest’anno sotto l’egida della “integrazione”, Ci puo’ spiegare di cosa si tratta?
R. La “integrazione” e’ l’idea che la biodiversita’ debba essere presa in considerazione dall’insieme delle politiche, regolamentazioni , incentivi e dispositivi di ogni settore: nelle politiche agricole, forestali, ittiche, turistiche, etc. E’ importante perche’ questo risponde alla constatazione che la biodiversita’ “ordinaria”, quella dei nostri campi e dei nostri paesaggi rurali, e’ crollata. Per esempio, Natureparif ha mostrato che noi abbiamo perso un quinto degli uccelli comuni nelle campagne dell’Ile-de-France, in poco piu’ di dieci anni. La protezione delle specie minacciate, nei parchi nazionali per esempio, o attraverso delle moratorie sulla pesca di alcune specie di pesci, ha dei successi notevoli ma specifici. Questi successi sono come delle oasi in un sistema che si desertifica. Bisognerebbe che la preoccupazione della biodiversita’ esca dal suo spazio limitato, e sia presa in considerazione da tutte le politiche.
D. Al momento, si e’ molto lontani, la biodiversita’ non e’ considerata nelle politiche pubbliche… Perche’?
R. Le politiche economiche, come quelle dell’agricoltura e della pesca, perseguono obiettivi specifici, tutti legittimi. Essi rispondono ad una domanda sociale di quantita’ di lavoro, di uscita dalla poverta’, di alimentazione a basso costo, etc.. E le lobby lottano, con i loro considerevoli mezzi, per far valere i loro interessi immediati e di corto termine. Queste politiche, questi attori, questi gruppi professionali non si preoccupano della biodiversita’ come obiettivo principale. Noi dobbiamo piuttosto lavorare per convincere l’opinione pubblica e i consumatori che e’ possibile nutrire il Pianeta, arricchire i contadini, abitare e farci trasportare prendendosi cura del patrimonio naturale. E’ possibile, ma questo presuppone dei modelli di produzione differenti, delle filiere diversificate, dei sostegni pubblici indirizzati in modo diverso, dei consumatori consapevoli delle proprie scelte. E il ruolo dei governi, attraverso il coordinamento delle loro regolamentazioni, e’ essenziale. E quindi essenzialmente politico, perche’ questo significa fare delle scelte.
D. La deforestazione dell’Amazzonia brasiliana e’ cresciuta del 29% l’anno scorso. Le foreste equatoriali dell’Africa e dell’Asia del sud-est spariscono anch’esse ad un ritmo alto. Cosa puo’ fare la COP13? Cosa possono fare i cittadini?
R. I cittadini possono tutto, perche’ e’ alla loro domanda che risponde l’agroindustria, e’ attraverso i loro risparmi che l’economia si finanzia, e’ grazie al loro voto che i governi stabiliscono le loro priorita’. Per esempio, quando i consumatori reagiscono ad una campagna di una ONG che fa pressione su un gruppo agroindustriale perche’ smetta di approvvigionarsi di carne nutrita con la soia, perche’ quest’ultima e’ causa della deforestazione in Amazzonia, le reazioni sono rapide e radicali: le imprese sono molto sensibili alla loro reputazione. Al di la’ di queste mobilitazioni specifiche, i momenti come la COP13 sono li’ per concepire delle risposte a piu’ larga scala.
A nostro livello individuale, cosa possiamo fare? Possiamo mettere maggiore attenzione al nostro regime alimentare, che e’ oggi la chiave maggiore per la biodiversita’. Per esempio, mangiare meno prodotti preparati e piu’ prodotti freschi, meno carne, soprattutto carne prodotta industrialmente; preferire il bio quanto e’ a nostra portata; fare attenzione alle etichette, alle campagne delle ONG; acquistare nei negozi vicini piuttosto che in grandi zone di attivita’ che sprecano spazio. E’ ancora molto difficile, questo presuppone di informare, ma scommettiamo che se diventiamo tutti coscienti e attenti in materia, e se il governo agisce nel medesimo senso, la pressione che noi esercitiamo cambiera’ il rapporto di forze.
D. Quali sono i Paesi piu’ impegnati nella difesa della biodiversita’?
R. Quello che e’ oggi piu’ spesso portato a modello, in questo tipo di convenzioni, e’ il Costa Rica, dove si dice che ha indirizzato il suo sviluppo su un turismo naturale, che porta i suoi frutti e che e’ sostenuto da una politica pubblica al servizio di questi obiettivi.
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(intervista di Coralie Schaub, pubblicata sul quotidiano Libération del 08/12/2016)