Un ponte commerciale embrionale tra l’Australia e Singapore?
Il biologo molecolare Lim Bing e l’oncologo Edison Liu fanno parte dell’ultima pattuglia di esperti sbarcati in quel porto franco mondiale della sperimentazione nel campo delle cellule staminali che prende il nome di Singapore. Nel numero di settembre di “Nature Biotechnology” e’ stata pubblicata la notizia sulla crescita in laboratorio di linee di cellule staminali embrionali umane, senza ausilio di tessuti animali. Una nuova tecnica messa a punto grazie alle ricerche del gruppo di scienziati diretti dal famoso Ariff Bongso, pioniere in questo tipo di studi. I diritti di sfruttamento commerciale sono di proprieta’ della “Es Cell International”, un’industria australiana con base sempre a Singapore.
Nel frattempo, proprio in Australia, scienziati, bioeticisti e politici si sono divisi in un mare di polemiche e provocazioni di varia natura. Certo, se il 20 agosto (data fissata per l’avvio della discussione parlamentare della nuova legge sull’uso di materiale embrionale umano in ricerca) e’ stato innegabilmente una ghiotta occasione un po’ per tutti, va anche detto pero’ che il rovente dibattito si e’ sviluppato non solo sul tema, apparentemente centrale, della liberta’ di ricerca. Nelle settimane precedenti, ad accendere la miccia era stato il professor Alan Trounson e la sua proposta di derivare le cellule staminali dai feti abortiti, anziche’ dagli embrioni. Proposta che aveva subito scatenato le proteste di cattolici e antiabortisti. Trounson, in un botta e risposta dal sapore antico, aveva reagito accusandoli di smaccata ipocrisia: “In 25 anni di lavoro nel campo della fecondazione assistita, non sono mai stato avvicinato da un sacerdote cattolico per organizzare qualche tipo di cerimonia o di sepoltura degli embrioni scartati e distrutti”.
Dopo una breve pausa, favorita da una pubblica dichiarazione di scuse da parte dell’irrefrenabile scienziato australiano, che ha tra l’altro ricevuto dallo Stato 46 milioni di dollari australiani per la costruzione di un centro di ricerca sulle cellule staminali, il dibattito era stato riacceso da un’altra dichiarazione-shock, questa volta da parte del dottor Bernie Tuch. L’esperto di trapianti del Prince of Wales Hospital di Sydney, rivelava che, in ossequio all’attuale legge, il suo gruppo di ricerca utilizza da piu’ di venti anni materiale di derivazione fetale e che gia’ da tempo sta derivando cellule staminali da feti abortiti donati. Le dichiarazioni di Touch sono state duramente commentate da alcuni leaders politici, tra cui il senatore liberale Guy Barnett, preoccupati che cio’ si traduca in una “giustificazione morale dell’aborto”. Ancora piu’ duro il vice primo ministro John Anderson, che ha ritenuto la ricerca sugli embrioni e sui feti moralmente inaccettabile. Definendo come semplice distrazione la polemica in corso, il Premier del Nuovo Galles del Sud, Bob Carr, si e’ invece schierato a favore, augurandosi tra l’altro che essa non comprometta l’iter della legge in discussione in Parlamento. La proposta di legge sottoposta al Parlamento dal Premier federale John Howard, prevede la possibilita’ di usare per la ricerca i circa sessantamila embrioni sovrannumerari prodotti prima dell’aprile di quest’anno, proibendo cosi’ l’accesso agli embrioni prodotti successivamente e la creazione di embrioni a soli scopi di ricerca. Sappiamo inoltre che la maggioranza degli australiani ritiene che un feto acquisisca caratteristiche umane piu’ o meno tra i due e i cinque mesi.
Ma poniamo maggiore attenzione al “Research Involving Embryos and Prohibition of Human Cloning Bill” australiano. La sezione 18 proibisce di conservare embrioni vitali dopo la fecondazione e punisce la violazione di questo divieto con una pena fino a dieci anni ed una multa di 66.000 dollari per il medico e 330.000 per la struttura in cui questo opera. Se la legge cosi’ venisse approvata, la sua applicazione non otterrebbe altro che l’introduzione del divieto di conservazione dell’embrione, non della sua distruzione. Il consueto (assurdo) paradosso nel quale ci si viene a scontrare ogni qual volta moralismi, laicismi, brevetti industriali e ricerca scientifica incrociano i propri destini. Non solo. Quando i problemi sollevati si trasformano in complicati rompicapo, e’ normale che si sia costretti a scegliere altri lidi per la ricerca, specialmente laddove il progresso scientifico e i diritti di sfruttamento commerciale vanno di pari passo. Un’apparente questione di vil denaro dove si impara pero’ che se quella determinata attivita’ e’ proibita, per fare un esempio in Australia, la stessa puo’ trovare, mettiamo questa volta a Singapore, altri spazi di sviluppo e di interesse. Anche di natura economica, in assenza pure (ma non e’ ancora il caso australiano) di qualsiasi legame commerciale, industriale o societario con la madre patria. E potremo perfino sostituire l’Australia con un altro Paese, questa volta europeo, che il risultato finale non cambierebbe. In altre parole la difesa della liberta’ di ricerca e’ anche difesa del mercato e di migliaia di posti di lavoro e tutela dell’economia di un Paese e di sostanziose quote del suo prodotto nazionale lordo (PNL). Chissa’ se questi semplici e logori concetti potranno essere d’aiuto al dibattito parlamentare. In Australia e, ovviamente, … in Italia.