Bioetica e diritto: il caso del Signor A.
Le cronache degli ultimi giorni ci parlano di un caso allo stesso tempo drammatico e interessante. Un uomo, che chiameremo Signor A., affetto da una grave malattia, ha chiesto che, in caso di decesso, siano valutate le responsabilita’ penali e civili, per negligenza o ritardata attuazione della sperimentazione, a carico del ministero della Salute. L’uomo e’ affetto da Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), una terribile malattia neuro-degenerativa i cui effetti, nel giro di pochi anni, provocano la paralisi totale della persona, lasciando integre le funzioni intellettive e sensoriali. La denuncia e’ partita dopo che il Signor A. ha appreso della sperimentazione effettuata su cinque pazienti, ammalati di SLA, all’Ospedale S. Giovanni Bosco di Torino. Un trapianto nel midollo spinale di cellule mesenchimali, ottenute dal midollo osseo dello stesso malato. Al Signor A. si aprono, amaramente pero’, le porte della speranza: “Visto che l’unica possibilita’ di sopravvivenza e’ attualmente legata all’impianto di cellule staminali -afferma- se cio’ non fosse possibile, per il mancato ampliamento, o peggio per l’interruzione, di tale sperimentazione, chiedo che, in caso di decesso, siano valutate le possibili responsabilita’ penali e civili del ministero della Salute, conseguenti a negligenza, mancata o ritardata attivazione di ogni possibile iniziativa intesa a dare la piu’ ampia attuazione alla sperimentazione di trapianto di cellule staminali”. A. e’ un ex impiegato della regione Marche, e’ sposato e non ha figli. Ha accusato i primi sintomi della malattia nel novembre del 2000, con dolori ai polpacci.
La notizia ci offre lo spunto per una riflessione sui rapporti che sussistono tra bioetica e diritto alla salute e tra giustizia e malattia. Nel nostro sistema giuridico, inteso come sistema europeo, poche sono le leggi, o le convenzioni internazionali, che ci aiutano a dare una definizione certa di questo rapporto. Sappiamo che la dignita’ e’ un valore che attiene a ogni uomo e che questo “valore” e’ l’elemento fondante dell’architettura giurisprudenziale in materia. Una specie di particolare responsabilita’ verso se’ stessi e verso gli altri che si enuclea nel principio della qualita’ della persona umana quale soggetto socialmente partecipe e responsabile. Nel caso di A. l’applicazione di questo principio si sostanzia nel richiamo dell’art. 1226 del codice civile che formula un principio di “valutazione equitativa del danno” limitato pero’ dall’imposizione da parte del giudice di “un equo apprezzamento delle circostanze”. Il nostro indirizzo giurisprudenziale va verso la direzione di distinguere il danno alla salute, sempre risarcibile perche’ “ingiusto”, dal danno morale, la cui risarcibilita’ incontra forti limiti nella rigidita’ dell’art. 2059 c.c., che la prevede nei soli “casi determinati dalla legge”. Un criterio quantomeno superato dai fatti.
Sappiamo inoltre che se la legge sulla fecondazione medicalmente (sic) assistita verra’ cosi’ approvata dal Senato della Repubblica non solo imporra’ il divieto di sperimentazione sugli embrioni (nonostante le staminali embrionali potrebbero essere piu’ efficaci nella cura di alcune malattie di quelle mesenchimali utilizzate negli esperimenti di Torino), ma obblighera’ altresi’ la distruzione dei trentamila embrioni congelati e attualmente stoccati nei centri per la fecondazione assistita sparsi sul territorio italiano. In questi giorni pero’ l’Istituto superiore di Sanita’ ha presentato un bando per finanziare con dieci milioni di Euro la ricerca sulle cellule staminali, ma solo su quelle animali, o somatiche, tratte da tessuti umani adulti o fetali (ovviamente di aborti spontanei). In altre parole la ricerca italiana del settore ha cosi’ ricevuto la contropartita in oggetto di contesa con il legislatore. Ironicamente vorremmo aggiungere: per fortuna almeno questo!
Sarebbero forse sufficienti queste superficiali informazioni a farci comprendere la profonda ipocrisia che e’ alla base del rapporto tra diritto alla salute e malattia in Italia, ma vorremo, senza altri intenti che quelli del confronto, far notare tuttavia che nel sistema nordamericano al concetto di dignita’, su cui torneremo tra poco, si e’ preferito quello di autonomia, espresso dal binomio del “right to bodily integrity” e della “self determination”. Cosa significa? Semplicemente che e’ l’individuo a decidere le questioni inerenti al proprio corpo e alla propria persona in maniera libera da intrusioni statali. Il concetto di dignita’ che pervade il nostro ordinamento obbliga invece il legislatore a continui salti mortali, per addivenire a compromessi di natura etica, religiosa e morale, offrendo cosi’ alla vita quotidiana, a nostro avviso, leggi palesemente incongruenti e contraddittorie, sul diritto alla salute, sui principi di autodeterminazione, e perfino sulla famiglia concepita come nucleo sociale base della vita del nostro Paese. Una famiglia che per l’appunto deve essere costituita secondo i precisi canoni dell’antropologia cattolica (madre di sesso femminile e padre, ovviamente, di sesso maschile). Certo, tra tutti questi dilemmi etici e filosofici, forse si rischia di dimenticare che la “vera” dignita’ dell’uomo e della donna e’ solo quella espressa dalla capacita’ di poter stare in contatto con gli altri, attraverso i sentimenti delle relazioni umane e sociali: affetto, amore e amicizia. E che se a un malato, per di piu’ incolpevole come il Signor A., affetto da SLA, si limita questa capacita’ di relazione (la malattia ha questo nefando potere), e gli si negano, per legge, parte delle possibilita’ di cura, logica vuole che vada a crollare anche il presupposto morale (la dignita’) del nucleo sociale primario: la famiglia. A meno di non voler elevare la sofferenza a elemento sociale e legislativo di coesione familiare. Come non notare a questo proposito, con un pizzico di ironia, che la nostra capitale, l’immortale Roma, ha come simbolo una lupa che allatta Romolo e Remo: una formula vincente e meno antropocentrica per una famiglia alternativa?
Al Signor A. auguriamo di farcela, a vivere e non a vincere la causa contro il Ministero (ma solo perche’ il decesso e’ stato posto come condizione sospensiva dell’azione giuridica). Noi, nel nostro piccolo, seguiremo la vicenda.