Clonazione terapeutica, la prima volta in Corea del Sud: cellule su misura per 11 pazienti

Sono state ottenute le prime linee di cellule staminali embrionali “su misura”, prelevate da embrioni clonati a partire da cellule adulte prelevare da 11 pazienti colpiti da diabete giovanile, lesioni del midollo spinale e immunodeficienza. La ricerca, condotta dall’universita’ sudcoreana di Seul guidata da Hwang Woo-suk in collaborazione con quella statunitense di Pittsburgh, e’ pubblicata on line su Science-express.
Le 11 linee di cellule staminali cosi’ ottenute segnano il primo passo per studiare in laboratorio la possibilita’ di utilizzare in futuro questa tecnica per trasferire le staminali negli stessi pazienti dalle cui cellule sono stati ottenuti gli embrioni clonati. Ogni linea cellulare e’ stata ottenuta trasferendo il materiale genetico prelevato dalla cellula adulta non riproduttiva di un paziente all’interno di ovociti prelevati da donatrici volontarie e privati del loro nucleo. La tecnica, chiamata “trasferimento nucleare di cellule somatiche”, ha permesso di ottenere 11 embrioni che sono stati fatti sviluppare in laboratorio fino allo stadio di blastocisti, quello in cui si forma la “sacca” che contiene le cellule staminali. Il gruppo coreano che ha ottenuto questo risultato e’ lo stesso che nel febbraio 2004 aveva ottenuto il primo embrione umano fatto sviluppare fino alla blastocisti. Allora, pero’, a donare cellule adulte e ovociti erano state donne volontarie sane. Questa volta le cellule adulte da cui sono stati clonati gli embrioni sono state prelevate da 11 donatori, maschi e femmine di eta’ compresa fra 2 e 56 anni (nel caso dei minori il prelievo e’ stato fatto con il consenso dei genitori). Gli ovociti utilizzati nella ricerca (185 in tutto) sono stati donati da 18 volontarie. Di sicuro c’e’ stato un affinamento della tecnica: nell’esperimento del febbraio 2004 erano stati necessari circa 200 ovociti, e un solo embrione aveva raggiunto lo stadio di blastocisti. Questa volta, invece, dalle 185 cellule uovo clonate sono stati ottenuti 31 embrioni, cioe’ quasi tre per ciascun paziente, con un tasso di efficienza dieci volte superiore rispetto a poco piu’ di un anno fa.

“Sono stupito da quanto hanno ottenuto in solo un anno e dalla quantita’, qualita’ e rigore delle loro prove”, ha detto Gerald Schatten della Facolta’ di Medicina dell’universita’ di Pittsburgh (Kansas), consulente del team sud-coreano, che parla addirittura di un “dovere morale” nel proseguire questo tipo di ricerca. “Essa e’ doppiamente importante perche’ mostra come efficienti modelli cellulari specifici di pazienti possono essere sviluppati e studiati con piu’ precisione che mai”. “Con la promessa di essere una cura per devastanti malattie e ferite irreversibili che causano tanta sofferenza umana, non e’ un obbligo morale per gli scienziati continuare questa strada della ricerca responsabilmente?”, si chiede Schatten. Con questo metodo, inoltre, si potrebbe in futuro eliminare la necessita’ di alcuni esperimenti con animali, che alcune persone ritengono criticabile mentre altri sostengono che non sia sempre un buon metodo per testare farmaci per gli uomini.

“La clonazione terapeutica ha un potenziale medico tremendo, ma dobbiamo aprire molte, molte porte prima di poter realizzare saggi clinici su uomini”, ha detto il ricercatore Hwang Woo-suk, dell’Universita’ Nazionale di Seul.
“Questo studio mostra come le cellule staminali embrionali possono essere prodotte usando il trasferimento nucleare da un paziente ammalato… senza badare al sesso o all’eta’”, ha detto Hwang ai giornalisti durante una conferenza via telefono. Mentre i pazienti le cui cellule sono state copiate non ne potranno per il momento beneficiare, i ricercatori sperano di studiare le cellule per capire meglio le loro condizioni.
Questo metodo, inoltre, potrebbe essere meno discutibile rispetto ad altre ricerche con l’uso di cellule staminali embrionali perche’, secondo la loro stessa definizione, non e’ mai stato davvero creato un embrione umano. “Penso che questo costrutto non sia un embrione -ha spiegato Hwang-. Nel nostro processo non c’e’ stata fertilizzazione. Usiamo la tecnologia di trasferimento nucleare. Posso dire che questo risultato non e’ un embrione, ma un costrutto frutto del trasferimento nucleare”.

David Magnus e Mildred Cho, del Centro per l’Etica Biomedica all’Universita’ di Stanford (California) spiegano che “non esistono ragioni per credere che una di queste cose possa convertirsi mai in un essere umano”. “Anche per le persone che credono che potenzialmente sia la chiave dell’umanita’, queste cose, siano cio’ che siano, non sono persone. Il trasferimento nucleare di cellule somatiche e’ un modo molto piu’ etico di produrre cellule staminali che utilizzare embrioni sovrannumerari derivanti da procedimenti di fertilizzazione in vitro”.

Hwang Woo Suk, difende a spada tratta la sua ricerca: “Non abbiamo violato alcuna legge del nostro Paese -ha detto in un’intervista all’agenzia di stampa sudcoreana Yohnap in risposta a chi lo accusa di aver ottenuto embrioni umani clonati, sacrificati in nome della scienza-. Abbiamo anzi ritardato di molto l’annuncio per essere sicuri di essere nella piena legalita’. Ci siamo consultati con esponenti del Governo, ricevendo il via libera. Capisco le perplessita’ di chi considera gli embrioni gia’ essere umani. Ma in questo campo la competizione e’ tremenda e allora e’ meglio affrontare il problema con regole certe e condivise”. Hwang ha messo in guardia, nello stesso tempo, dai facili entusiasmi di chi crede che ora sia vicinissimo il giorno in cui si potranno guarire, con le cellule staminali, malattie finora incurabili. “Ci sono ancora ostacoli formidabili da superare prima di riuscire a far crescere le cellule staminali cosi’ ottenute in cellule e tessuti specifici da sostituire a quelli malati”. “Ma ora la strada e’ aperta. Aver creato cellule staminali su misura per persone di entrambi i sessi e di tutte le eta’ e’ un passo avanti da giganti. Occorre adesso una collaborazione a livello internazionale per scambio di informazioni e tecniche. Noi siamo pronti ad aprire i nostri laboratori e sono certo che il governo sudcoreano fornira’ l’assistenza necessaria. Un grande servizio per l’intera umanita’”.

“Hanno tutto cio’ che necessita: il know-how, il denaro e una legge che gli da il via libera”, ha commentato José Cibelli che lavora all’Universita’ Statale del Michigan e che aveva collaborato con i coreani nello studio del febbraio 2004, ricordando che il gruppo di Hwang dispone di un milione di dollari provenienti dalle casse dello Stato e di un altro milione raccolto da donatori, nonche’ di una legge che li tutela.
Il Governo sudcoreano ha approvato alla fine del 2004 una legge entrata in vigore a gennaio, che consente agli scienziati di condurre ricerche a scopi terapeutici sugli embrioni umani, mettendo al bando pero’ transazioni commerciali su spermatozoi e ovociti.

E Rudolf Jaenisch del Massachusetts Institute of Technology fa notare: “Qualcuno sara’ felice per l’esito dell’esperimento, qualcun altro disperato. Ma una cosa e’ certa: questa tecnica comincia a diventare efficiente”.

L’American Society for Reproductive Medecine (Asrm) festeggia cosi’: “applaudiamo al professor Hwang e ai suoi colleghi per questo progresso scientifico rivoluzionario”, questo avvicina molto il rispetto della promessa che la ricerca con le cellule staminali permettera’ di sviluppare terapie per le malattie piu’ gravi come il Parkinson o il diabete giovanile, spiega Robert Schenken. “La piccola quantita’ di ovociti (185 donati da 18 donne) necessari per produrre le 11 linee di cellule staminali in Corea, dovrebbe permettere di dissipare le critiche per cui la ricerca sulle staminali porterebbe ad uno sfruttamento in massa delle donne per usare i loro ovociti”.

“E’ un progresso molto importante” per la dottoressa Janet Rowley dell’Universita’ di Chicago. “Mi sorprendono i progressi che hanno ottenuto in un solo anno”. “Quello ottenuto dai colleghi della Sud Corea e’ un avanzamento importantissimo in un campo pieno di promesse, che purtroppo mette ancora piu’ in luce la tragedia della situazione americana, dove avremmo le tecnologie per progredire velocemente negli studi sulle cellule staminali ma siamo bloccati da costrizioni ideologiche”.

Nel clonare cellule staminali di persone malate, per il neurologo Fred Gage, dell’Istituto Salk di Studi biologici di San Diego, gli scienziati possono osservare in provetta l’inizio stesso della malattia come quella dell’Alzheimer, e questo potrebbe comportare nuove formule per i trattamenti. La ricerca coreana “sara’ di enorme beneficio per quanto riguarda la comprensione della natura e della biologia delle malattie umane”, ha aggiunto Gage.

Per Juan Carlos Izpisua, direttore scientifico del Centro di Medicina Rigenerativa di Barcelona (Spagna) e del Centro di Cellule Staminali dell’Instituto Salk di La Jolla (California, Usa) e’ importante che il lavoro sia stato fatto con donatori che presentavano diverse patologie, per poter vedere lo sviluppo delle malattie. “Se vogliamo progredire e comprendere meglio i meccanismi patogenici di alcune malattie, sviluppare nuovi trattamenti, studiare la risposta a nuovi farmaci e sviluppare cellule e tessuti con valore terapeutico, l’utilizzazione di tecniche di trasferimento nucleare (che conosciamo come clonazione terapeutica) e’ appropriata. E’ importante che questa iniziativa si veda inserita, con garanzie, in un quadro legale che regolamenti tutti questi lavori e ottimizzi i risultati”. Izpisua sottolinea anche la necessita’ di informare la societa’ in ragione del dibattito etico. “Come tutte le rivoluzioni della conoscenza, e’ necessario condurre per la mano la societa’ per una buona assimilazione dei risultati. Pensiamo che, anche se in futuro, i risultati possono rivoluzionare la medicina dei nostri giorni, e tutti ne saremo beneficiari”.

“Potrebbe essere una via di sviluppo intelligente, ma ovviamente da seguire con le cautele del caso”, ha commentato l’oncologo Umberto Veronesi e gia’ ministro della Sanita’. “Da ministro avevo istituito la Commissione Dulbecco nella convinzione che la via piu’ intelligente per la ricerca sulle cellule staminali fosse quella della clonazione terapeutica che non da’ luogo all’embrione ma che porta direttamente alla produzione di cellule staminali”. La tecnica proposta allora dalla commissione, ha proseguito Veronesi “prevedeva di utilizzare il nucleo delle nostre cellule in modo da fornire ai malati terapie personalizzate. Naturalmente richiede la disponibilita’ di ovociti, ma in casi come questi e’ possibile trovare donatrici nella famiglia del paziente”. Secondo Veronesi “ci si puo’ fermare prima che l’embrione raggiunga lo stadio di blastocisti, e in ogni caso si tratta di intervenire su gruppi di cellule che, dal nostro punto di vista di scienziati, non possono essere considerate persone”.

Un lavoro “importantissimo” e che apre la strada alla possibilita’ di studiare al banco del laboratorio l’evoluzione delle malattie, spiega il direttore del laboratorio di Biologia dello sviluppo dell’universita’ di Pavia, Carlo Alberto Redi, non c’e’ dubbio che la ricerca e’ destinata a segnare una pietra miliare nella storia delle ricerche sulla clonazione a fini terapeutici. “Non soltanto le 11 linee cellulari sono state prodotte con una resa elevatissima, ma e’ la prima volta che vengono ottenute cellule cosi’ ‘pulite'”. Le staminali sono cresciute infatti su un letto di cellule (fibroblasti) umane e non prelevate da topi, come e’ accaduto finora, con il rischio del passaggio di virus. L’efficienza, ha aggiunto Redi, e’ stata di dieci volte superiore rispetto a quella del lavoro pubblicato nel febbraio 2004, nel quale lo stesso centro di ricerca aveva ottenuto un embrione umano da una donatrice sana e lo aveva fatto sviluppare fino allo stadio di blastocisti. “Un altro merito del lavoro e’ di considerare con grande cautela le possibilita’ di terapia”. I ricercatori sanno di avere superato il primo gradino: ottenere in modo efficiente linee cellulari “pulite”, indipendentemente dall’eta’ e dal sesso del donatore. “Adesso il passo ulteriore sara’ studiare come differenziarle per arrivare alla terapia”, ha detto Redi. Nelle mani dei ricercatori, ha osservato, “ci sono cellule embrionali che permettono di ricostruire gli stadi iniziali delle malattie di cui soffrono i pazienti dai quali le stesse cellule sono state ottenute. Vale a dire che diventa possibile fare studi di embriologia umana molecolare”. In altre parole, questo significa che al banco del laboratorio si puo’ ricostruire la storia della malattia. Non e’ per caso, secondo Redi, che nella ricerca sono state considerate malattie, come il diabete giovanile, nelle quali potrebbero essere decisive terapie cellulari. “E’ anche una ricerca che viene pubblicata in un momento cruciale per l’Italia, dove alla vigilia del referendum sulla clonazione e’ vivo il dibattito sul destino degli embrioni congelati”.

“Un’ottima notizia, della quale c’e’ solo di che felicitarsi”, commenta Marco Cappato segretario dell’associazione Luca Coscioni, che aggiunge come “siamo purtroppo nel Paese in cui la ricerca condotta con successo dagli scienziati coreani e’ rigorosamente vietata dalla legge 40, secondo la quale quegli stessi scienziati dovrebbero essere sbattuti in carcere per anni perche’ colpevoli di un gravissimo crimine. Siamo nel Paese dove la campagna anti-referendaria continua a spacciare la menzogna della equivalenza tra cellule staminali embrionali e cellule staminali adulte, senza che sia chiesto loro conto davanti all’opinione pubblica del perche’, nei Paesi dove e’ consentito, gli scienziati investono tempo ed energie nella ricerca sulle staminali embrionali e nella tecnica -vietatissima in Italia- del trasferimento del nucleo di cellule somatiche”. “Attendiamo ora di vedere se, dopo aver censurato il fatto che la quasi unanimita’ della comunita’ scientifica italiana si e’ costituita ieri nel comitato Ricerca e Salute per andare a votare quattro si’ ai referendum, i media italiani riusciranno nell’impresa di censurare anche il lavoro presentato dalla rivista Science”.

“L’impatto della ricerca coreana sulle cellule staminali e’ soprattutto simbolico perche’ dal punto di vista tecnologico non e’ altro che la somma di passaggi sperimentali gia’ fatti”, ha detto Claudio Bordignon, direttore scientifico dell’Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano. “In realta’ questi ricercatori hanno ripetuto cio’ che avevano fatto in un’altra ricerca ugualmente pubblicata su Science lo scorso anno, con la quale avevano comunicato di aver prodotto per trasferimento nucleare, quindi per clonazione, un embrione in fase iniziale, e di essersi, pero’, fermati all’inizio della formazione embrionale. Con quel lavoro si voleva dimostrare che lo stesso procedimento, gia’ usato per clonare gli animali, si poteva applicare anche su cellule umane. La differenza del lavoro di quest’anno e’ che gli scienziati coreani hanno mandato la crescita dell’embrione piu’ avanti, fino alla formazione della blastocisti, e cioe’ fino ad una fase embrionale piu’ organizzata, una fase che si presta al prelievo delle cellule staminali embrionali”. “In pratica, il loro lavoro e’ stato quello di prelevare cellule staminali embrionali dalla blastocisti per poi farle crescere in laboratorio in quantita’ adeguata alle loro esigenze e obiettivi di lavoro sperimentale. Dal punto di vista tecnico quindi non c’e’ nulla di tecnologicamente nuovo che non sia gia’ stato fatto con altre linee cellulari”. “La novita’ e’ l’impatto sull’opinione pubblica e sul mondo scientifico, che consiste nel fatto che queste linee di cellule staminali embrionali non sono state ottenute per via classica, ma per trasferimento nucleare. In questo caso si tratta di cellule di pazienti, persone malate, e quindi c’e’ un’idea terapeutica, che rende piu’ attraente la storia, anche se poi non c’e’ alcuna proposta reale di passare direttamente all’uso clinico, che sara’ possibile, se lo sara’, fra molti anni e dopo tanto lavoro sperimentale per verificare l’efficacia e la sicurezza di queste cellule”.

Rispetto all’esperimento condotto nel febbraio scorso dallo stesso gruppo sudcoreano, il risultato annunciato rappresenta “un progresso tecnico, ma non un avanzamento scientifico”, ha detto Angelo Vescovi, condirettore dell’Istituto di ricerca sulle cellule staminali dell’istituto San Raffaele di Milano. Sono stati utilizzati infatti molti meno ovociti e meno embrioni. “In ogni caso le blastocisti umane sono state distrutte, ma questo e’ un problema di tipo etico”. Se la tecnica e’ andata avanti, la scienza aspetta ancora tante risposte e almeno due di esse sono cruciali: “Adesso che si sono ottenute le cellule staminali, come si verifica che sono totalmente normali e come si certifica che non producono tumori? E nel caso in cui si dimostrassero sicure, come si possono trapiantare sui pazienti?”. Secondo l’esperto non ci sono dubbi che “c’e’ ancora tanta strada da fare” e che la distanza che separa questo esperimento da future terapie non si e’ ridotta minimamente. E’ critico, Vescovi, anche sulla scelta di ottenere embrioni da pazienti con malattie tanto diverse. Se l’obiettivo principale fosse stato dimostrare che la possibilita’ della terapia sarebbe stato opportuno, secondo l’esperto, prelevare le cellule da embrioni ottenuti da pazienti con la stessa malattia.

“Non e’ in senso assoluto una novita’” e di fatto le applicazioni terapeutiche sono ancora molto lontane, e’ il commento del genetista Bruno Dallapiccola, dell’universita’ di Roma Tor Vergata. “Il punto che emerge e’ che non c’e’ nessun avanzamento conoscitivo. Nessuno e’ finora riuscito ad imbrigliare le cellule staminali e ad utilizzarle a scopi terapeutici”. Il problema, secondo Dallapiccola, e’ comprendere fino a che punto le cellule staminali embrionali sono sicure e quanto invece nascondano, nelle loro caratteristiche, il rischio di una crescita incontrollata come quella delle cellule tumorali. “Da un lato c’e’ il successo delle cellule staminali prelevate da tessuti adulti, mentre le cellule staminali embrionali hanno un potenziale proliferativo drammatico. Nessuno finora e’ riuscito a imbrigliarle. Anche chi e’ favorevole a questo tipo di ricerca sa benissimo che, come tali, non possono essere utilizzate”.

“L’esperimento condotto a Seul in collaborazione con ricercatori americani di Pittsburgh e’ umanamente abominevole, e nessuna ragione scientifica o clinica puo’ giustificarlo”. E’ questo il giudizio del prof. Roberto Colombo, direttore del Laboratorio di Biologia Molecolare e Genetica Umana dell’Universita’ Cattolica di Milano, che rileva che “sono stati sacrificati oltre un centinaio di embrioni umani, ottenuti intenzionalmente per questo scopo da 185 ovociti di donna, al fine di produrre 11 linee di cellule staminali embrionali da destinare alla sperimentazione di eventuali nuove terapie”. Secondo Colombo “l’uomo all’inizio della sua vita e’ stato strumentalizzato e distrutto sull’altare di certa scienza biomedica che pretende di possedere e manipolare la vita umana, e che ha cosi’ perso il senso di servizio alla vita di ogni uomo e di tutto l’uomo che connota l’impegno e la passione della quasi totalita’ dei ricercatori e dei medici”. “Come anche altri e numerosi studiosi di genetica e di biologia molecolare non mi riconosco in questo modo irresponsabile e disumano di fare ricerca, e mi auguro che nel nostro Paese cio’ non sia mai consentito. Per questo occorre mantenere in vigore l’attuale legge che, tra l’altro, vieta esattamente quello che e’ stato fatto in Corea”.

“La vera novita’ di questa ricerca pubblicata su Science-express e’ che gli scienziati sono riusciti a portare a termine la clonazione terapeutica. Ma si tratta di un’ipotesi su cui il Comitato nazionale di bioetica ha gia’ espresso in passato la sua contrarieta’”. E’ il commento di Francesco D’Agostino, presidente del Comitato nazionale di bioetica (Cnb). “La convenzione di Oviedo proibisce infatti la clonazione non solo a scopo riproduttivo, ma anche di ricerca. Una posizione questa su cui il Comitato si trova in accordo. L’unico Paese in Europa che ha autorizzato questa pratica e che, conseguentemente non ha firmato la convenzione, e’ l’Inghilterra di Tony Blair”.

In Italia restera’ il divieto di clonare embrioni umani. E’ stato il ministro della Salute Francesco Storace, di fronte alle notizie di clonazioni, prima in Corea e poi in Inghilterra, a conferma la posizione italiana da sempre contraria alla procedura. Il divieto viene da molti anni prorogato con 2 ordinanze che vietano le pratiche di clonazione umana, di commercializzazione e pubblicita’ di gameti ed embrioni umani e di importazione e di esportazione di gameti o di embrioni umani.

Esperimenti come quelli avvenuti in Corea espongono per “la prima volta il ventunesimo secolo al rischio della sparizione della specie vivente”. E’ quanto ha sostenuto il patriarca di Venezia, cardinale Angelo Scola. “Mi ha suscitato una impressione terribile, nel senso che mi pare fare eco a quella affermazione che oggi si sta diffondendo e che ho trovato espressa in maniera bruciante ma violenta dal giovane filosofo tedesco Youngen il quale dice che dovremmo ormai sbarazzarci della millenaria idea del soggetto personale per dire che l’ uomo e’ il suo proprio esperimento”. “La notizia di oggi fa venire questo rischio ma, come ha detto di recente il grande filosofo sorboniano Brague, questo espone per la prima volta il ventunesimo secolo a rischio della sparizione della specie vivente”. “Bisogna che tutti noi ci inchiniamo su queste scoperte che sembrano strabilianti da una parte senza cedere alla tentazione faustiana che Goethe con tanto anticipo ha cosi’ messo in vita, di essere artefici assoluti di noi stessi e di ridurre l’ uomo al suo proprio esperimento”.

Dal punto di vista morale, per monsignor Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, “questa, chiamata ‘clonazione terapeutica per nucleo transfert’, altro non e’ che un procedimento, il piu’ artificiale di quanto si possa immaginare, per dare vita a un essere umano sradicato anche dai gameti paterno e materno. Questa fecondazione e’ agamica e asessuale, ‘armata’ solo di un orgoglio di riprodurre un essere da strumentalizzare, perche’ poi viene ucciso e soppresso. Quindi, non c’e’ soltanto il delitto di riprodurre artificialmente, ma anche la soppressione e la strumentalizzazione, forse anche la commercializzazione del prodotto”.

La Casa Bianca condanna senza mezzi termini le ricerche sulla clonazione condotte nella Corea del Sud. Il presidente George W. Bush -ha fatto presente Trent Duffy, vice capo uffico stampa- porrebbe certamente il veto a qualsiasi proposta di legge che tentasse in qualche modo di allentare le restrizioni federali in atto in America sulle sperimentazione su cellule staminali embrionali. Partecipando di prima mattina al ‘National Catholic breakfast’ di preghiera, lo stesso Bush il 20 maggio ha sollecitato “a pregare affinche’ l’America usi il dono della liberta’ per creare una cultura della vita”. Ricordando Papa Giovanni Paolo II, il presidente Usa ha sostenuto che “il miglior modo per onorare la memoria del pontefice, campione esemplare della liberta’ umana, e’ continuare a costruire una cultura della vita che protegga i piu’ deboli”.

Le due tecniche diverse:
– LA VIA BRITANNICA: in Gran Bretagna Alison Murdoch e Miodrag Stojkovic hanno seguito la stessa strada che nel 1997 aveva portato alla nascita della pecora Dolly. Hanno utilizzato cellule staminali conservate nella banca britannica delle cellule embrionali umane e le hanno introdotte in 36 ovociti donati da 12 donne che si erano sottoposte a interventi di fecondazione artificiale. Quindi con una corrente elettrica hanno stimolato la fusione della cellula staminale e della cellula uovo. In questo modo hanno ottenuto tre embrioni, due dei quali hanno subito cessato di svilupparsi. Uno ha continuato a crescere, fermandosi al quinto giorno di sviluppo.
– LA VIA COREANA: i ricercatori coreani guidati da Woo Suk Hwang hanno preferito seguire la via che nel 1998 aveva fatto nascere Cumulina, il primo topo-fotocopia e in piu’ hanno utilizzato una cellula adulta. Questa non e’ stata utilizzata per intero (ossia nucleo piu’ citoplasma), ma il suo nucleo e’ stato estratto e poi introdotto nell’ovocita, a sua volta privato del nucleo. E’ stata cosi’ utilizzata la tecnica del trasferimento nucleare che, da cellule prelevate da 11 donatori colpiti da diabete giovanile, trauma spinale e una forma di immunodeficienza, hanno permesso di ottenere 31 embrioni giunti allo stadio di maturazione da cui e’ possibile prelevare cellule staminali (blastocisti). Da questi sono state ottenute 11 linee di cellule staminali su misura per il paziente.