L'”atto personalissimo” di Luana Englaro: quando la giustizia sceglie, fingendo di non decidere

Nei paesi anglosassoni, al contrario che in Europa, esiste il cosiddetto Common Law, ovvero un sistema di produzione normativa che passa prima dalle corti supreme, per poi divenire “legge” o “principio” da osservarsi nei futuri giudizi. E’ cosi’ che si evolve il diritto, che si segue la maturazione delle coscienze e dei costumi di un popolo. Da noi, invece, i giudici sono chiamati ad interpretare la legge affinche’ “principi” e “leggi” gia’ scritti trovino applicazione nel viver quotidiano. Tale differenza ha un primo macroscopico effetto nella responsabilizzazione dei giudici che si trovano a valutare una vicenda come quella di Terry Schiavo o di Luana Englaro. I giudici americani, infatti, sentono e si sentono di dover decidere, i giudici italiani, invece, fanno di tutto per non decidere, se pur nelle loro sentenze spesso decidano al pari dei loro colleghi, mascherandosi dietro l’applicazione dei codici. Anziche’ trovare la soluzione a mezzo delle norma scritta per il fine che essa porta in se’, si servono artificiosamente del cavillo giuridico (che manca agli anglosassoni) per evitare la sentenza e dunque evitare “il caso”, evitare la decisione, che e’ anch’esso un decidere.
E’ quello che e’ accaduto nel terzo grado di giudizio della vicenda giudiziaria di Luana Englaro, la donna di Lecco da anni in coma vegetativo che aveva espresso la propria volonta’ di non esser mai sottoposta al trattamento di sostentamento vitale impostole dalla medicina e -oggi- dalla giustizia italiana. Il padre, tutore di Englaro, lotta da anni per veder riconosciuta e attuata la scelta della figlia.
Non merita entrare nel dettaglio dell’argomentazione con la quale la Cassazione rifiuta di analizzare il ricorso del padre di Englaro per “vizio procedurale”, ossia il difetto di notifica del ricorso alla controparte, ovvero al portatore di un interesse contrario a quello dell’interessata e di suo padre (come se in casi del genere esistessero effettive controparti!). Cosi’ si rischierebbe di deludere coloro che tanto credono nella concretezza del potere giudiziario a fronte di un innegabile caos di quello legislativo. Stavolta, infatti, ad esser fumosa e cavillosa e’ la giustizia, laddove, crediamo, la legge e’ invece chiara e non altrimenti interpretabile nella sua semplicita’: “nessuno puo’ esser sottoposto a trattamenti sanitari obbligatori” (Art. 32 della Costituzione).
Merita invece far presente il presupposto logico che porta a compimento il rifiuto di valutazione del ricorso Englaro.
Il provvedimento richiesto al giudice dal padre (ossia l’autorizzazione a sospendere l’alimentazione artificiale), argomenta la Corte, e’ atto personalissimo, al pari del matrimonio, del riconoscimento del figlio naturale, interruzione di gravidanza ecc.. Dunque, prosegue, in quanto tale, non puo’ esser compiuto da nessun altro se non dalla persona stessa. Se la persona non puo’, prosegue, in astratto occorrerebbe qualcuno che lo facesse per lei, ossia un tutore (e fin qui nulla questio). Ma siccome, continua, si tratta di atto personalissimo, nemmeno il tutore puo’ rappresentare l’incapace, poiche’ non sussiste un generale potere di rappresentanza, tanto meno in atti cosi’ personalissimi . Dunque ci vorrebbe un prototutore (un terzo uomo) che regoli il potenziale conflitto di interessi fra il rappresentante -tutore- e il rappresentato -l’incapace. E se anche questo non fosse sufficiente a decidere la “vera” volonta’ dell’incapace? L’Art. 360 del Codice civile, afferma la Corte, prevede la nomina di un curatore speciale (quarto uomo)!
Insomma, spiega la Cassazione, essendovi diversi uomini “interessati” e, eventualmente “controinteressati” alla decisione sul bene di Luana, tali sono contraddittori che devono necessariamente citarsi in giudizio. E siccome il padre di Luana non lo ha fatto, il suo ricorso non puo’ essere esaminato.
Ma quale volonta’ attua cosi’ facendo la Cassazione? La volonta’ dei medici? la volonta’ dei giudici? la volonta’ dei prototutori? dei curatori speciali? o forse la volonta’ sancita in leggi imperscrutabili e chiaramente incostituzionali, disprezzanti la liberta’ e la scelta individuale?
Ci chiediamo: dove e’ finita la volonta’ di Luana Englaro? Quella che ha candidamente espresso con gli amici, familiari, con la propria vita che solo dai ricordi e dalle testimonianze di chi l’ha condivisa, conosciuta e amata, puo’ esser riportata fieramente e fedelmente agli occhi di tutti?
E soprattutto, chi sta determinando da anni il suo destino? Chi sta compiendo ogni giorno per lei il suo atto personalissimo? Non le viene forse oggi imposto di vivere, secondo volonta’ di terzi e quarti e anche di quinti e sesti uomini?
Crediamo che nel non pronunciarsi sulle ragioni del ricorso la Corte di Cassazione abbia aggiunto il proprio autorevole contribuito alla lunga e triste lista di chi sceglie e decide della vita di Englaro e delle numerose persone nella sua condizione. Anche la giustizia, a volte, volente o nolente, compie atti personalissimi.